mercoledì 28 dicembre 2011

Ma che ce ne facciamo di Borriello?

Caro Anno Nuovo, per favore, smentiscimi. E fra sei mesi fammi scrivere un post di scuse a Marco. Ma oggi proprio non riesco a evitare di rispondere: "Niente".

lunedì 19 dicembre 2011

Il tempo degli esami è finito (A-Team su LaStampa.it)


Trentatré punti in 15 partite, media 2,2. Reti fatte: 27, seconda del campionato (Milan 33), ma con un solo rigore a favore (contro i 5, di cui alcuni definiti “generosi”, dei rossoneri); gol subiti 11, seconda del campionato (Udinese 9). Imbattuta, unica in Europa nei campionati che contano. Imbattuta in casa da nove mesi, sempre a segno da 14 match consecutivi, sei punti in più rispetto alla scorsa stagione. Con il gol di Quagliarella di ieri, sono ben 11 i marcatori. Per quel che serve, media inglese +1, unica squadra di A in positivo(l'Udinese è a 0 e il Milan a -1).

Questi numeri non lasciano spazio a interpretazioni, eppure la Juve sta partendo per Udine e sento ancora parlare di esame. Evidentemente ne ha più la Juve quest'anno di un corso di laurea di veterinaria, celebre per la quantità di prove.

Era esame di maturità quello col Milan. Passati con lode. Erano esami quelli della doppia sfida a fila con Fiorentina e Inter: sei punti. Erano esami le due trasferte ravvicinate con Lazio e Napoli: passate con ampio onore. Era un esame la partita con la Roma: magari la lode no, ma passato senza tentennamenti.

Ora ci tocca sentire che anche a Udine è un esame. Ma quanti ne dobbiamo passare per farci prendere sul serio? Che quando il Barcellona va a giocare a Valencia va a fare esami? Il City ha passato un esame con l'Arsenal? Il Bayern è ancora costretto a fare esami?

A Udine si può vincere o pareggiare, ma sarà una partita contro un'ottima squadra. Diciamo pure uno scontro diretto, ma il tempo degli esami è passato. In Italia, almeno, nessuno può più farci da professore. Con tutto il rispetto, nemmeno la squadra di Guidolin.

Vedremo come andrà a finire, ma qualsiasi sarà il risultato al Friuli, Conte e i giocatori (e pure tutti noi bianconeri) si godranno un panettone mangiato a quattro palmenti. Il tempo degli esami è finito e non ritornerà.

martedì 13 dicembre 2011

Speriamo che il Natale arrivi presto (A-Team su LaStampa.it)

“Stiamo andando a tremila giri, speriamo di non grippare il motore”, dice il Mister. Per la verità, qualche segno di cedimento s'è visto soprattutto nel cuore del gioco: a centrocampo.

Sorvoliamo sull'orrore di Vidal, una roba che non ho mai visto neanche sui campetti dove gioca mio figlio, ma è stata anche la coppia Pirlo-Marchisio ad andare fuori giri. Contro il Napoli s'è giocato senza Marchisio e s'è fatto una grande figura, contro il Cesena abbiamo fatto a meno di Pirlo e s'è vinto come da prassi. Senza entrambi, di fatto, proprio non si può stare.

Azioni confuse e, soprattutto, quei maledetti, inutili lanci dalla difesa hanno manifestato che sarà bene che il Natale arrivi presto. Ora c'è il derby col Novara e poi l'insidiosa trasferta di Udine. Firmo per quattro punti che ci permettano di arrivare alla sosta imbattuti e in testa, sebbene in ampia compagnia. A giugno avrei firmato con un paio di litri di sangue.

Finita questa considerazione generica, ieri di bello s'è visto soltanto il rigore parato da Buffon (che cos'è questo silenzio? Dove sono tutti quelli che qualche settimana fa volevano venderlo per lasciare posto a Storari?), che arrivato un pugno di secondi dopo il pareggio avrebbe potuto tagliarci le gambe definitivamente. Ma Totti non poteva fare un favore così grande a Luis Enrique.

Anche la gestione della partita di Conte è stata tra le peggiori della stagione, al pari forse soltanto di quella col Genoa. S'è visto presto che Matri lassù disperso, con Estigarribia e uno spaesato Pepe poco inclini a spingere fino sul fondo, non avrebbe mai spaccato la partita come sperato. Eppure la panchina ha atteso il 23' del secondo tempo prima d'intervenire formalmente.

Un'idea precisa su Elia personalmente non me la son fatta, ma è evidente che Conte invece sì, eccome. Perciò sorprende che l'abbia gettato nella mischia in una partita così, in un momento tanto delicato. Il taglio dell'olandese su Quagliarella stava per fargli vincere una scommessa pazzesca, ma s'è trattato di un episodio. Per il resto, il ragazzo s'è trovato in una situazione troppo complessa per potersela cavare.

Nel complesso, una Juve troppo brutta per essere vera. Nonostante a Roma pareggiare sia dignitoso e nonostante i giallorossi alla fine non abbiano demeritato (ma stiamo parlando della solita Rometta, anche se pompata a mille), li vivo come due punti gettati. Speriamo proprio di no, ma a maggio potrebbero pesare. Speriamo intanto che le vacanze siano ben rilassanti e rigeneranti per tutti.

martedì 6 dicembre 2011

La notte dei cloni perdenti

Chissà se lunedì la Juve incontrerà la Roma di Luis Enrique. Di sicuro, i bianconeri scenderanno all'Olimpico, ma non meraviglierebbe nessuno se lo spagnolo fosse già a guardarla in tivù. È finito presto l'innamoramento per un “progetto” che tutta la stampa italiana s'è precipitata ad applaudire dal primo momento. Un'unanimità che non si fatica a spiegare, visto che dietro l'operazione c'era Unicredit e mettersi contro un tale colosso bancario, sia che ti sieda nel cda sia che non, è comunque sconveniente.

Che prendere un allenatore in seconda dall'estero e metterlo a sedere su una delle panchine più importanti d'Italia fosse un'idea balorda, però, risultava preclaro a chi non avesse conti aperti in Unicredit.

Personalmente, da quando ci passarono l'idea che Maifredi fosse l'alter-ego di Arrigo Sacchi, fuggo a gambe levate davanti ai cloni. E il destino parallelo dello simil-Guardiola e dello Special Two non fa che regalarmi conferme.

Stasera il Chelsea di Vilas Boas si gioca gli ottavi di Champions col Valencia. Che passi o che non passi, fa già rumore che sia arrivato a giocarsi all'ultima partita un gruppo che comprende anche il Bayer Leverkusen e il Genk. Un girone tutt'altro che spaventevole. La Premier poi è già quasi andata, senza mai aver dato l'impressione di essere all'altezza di City e United. Ora è pure la seconda squadra di Londra, dietro a un Tottenham in ascesa.

Se parliamo di sfide cittadine, meglio tacere per decoro su quello che sta succedendo a Roma. Nel giro di due mesi siamo passati dalla santificazione a Luis Enrique e alle minacce a Reja, alla situazione esattamente speculare.

Personalmente vedere in alto mister seri e sottovalutati come l'Edi e Guidolin mi fa soltanto piacere. Gente che non segue le mode, perché loro di moda non ci vanno mai. Ma tosta e coriacea come il legno, senza fighettismi e sciarpette vezzose.

I cloni lasciamoli pure al Museo delle cere a simulare di essere quelli che vincono davvero, senza finzioni.

lunedì 5 dicembre 2011

L'uomo non ha morso il cane. Bene così. (A-Team su LaStampa.it)

Se un cane morde un uomo non è una notizia. Lo è se è l'uomo a mordere il cane. Questo insegnano nelle vecchie scuole di giornalismo. In quello sportivo insegnano che se la prima gioca in casa contro la penultima e vince, è come il cane che morde l'uomo. La Juve ha messo in cassa altri tre punti, altro da aggiungere non c'è.

Anche su Marchisio s'è già lungamente detto, mentre qualcosa si potrebbe sottolineare sulla supposta rosa corta, che continua a far risultato anche quando mancato i cosiddetti inamovibili. Catalano, l'uomo dell'ovvio, potrebbe arguire che è meglio avere in campo Pirlo che Pazienza. E io aggiungo che l'acqua calda scotta. Epperò s'è vinto lo stesso, pur senza far notizia.

In assenza di titoli, mi vorrei concentrare su un giocatore che so già che quest'anno mi farà tornare molte volte sull'argomento. Sui quotidiani sportivi di oggi, Mirko Vucinic ha preso larghe sufficienze. E quello inutilmente rosa definisce la sua partita “un'ora di qualità”.

Che il nostro numero 14 abbia piedi di classe superiore, non è discutibile. Per fortuna, però, io non sono costretto a far pagelle, altrimenti mi sarei trovato in pieno disaccordo coi colleghi.

Sappiamo che Mirko è uno che si accende quando ne ha voglia e spesso ciò non coincide quando gioca con le provinciali. Insomma, è uno che ama il caldo dei riflettori. Però chi ha classe dovrebbe essere proprio il grimaldello nelle partite contro squadre arroccate, dove gli spazi sono stretti come la vigilia di Natale all'ora di punta.

Invece, chissà, forse perché un po' orfano dei lanci di Pirlo, non ha fatto altro che accentrarsi e a cercare palla sulla trequarti, quando Conte gli chiedeva di restare largo sulla fascia. Lato del campo, tra l'altro, presidiato da Ghezzal, che è tutto fuorché un terzino., infatti, quando l'ha puntato, l'ha sempre saltato secco. Soltanto che Mirko era in giornata di triangoli stretti centrali, che non hanno portato alcun frutto.

Sarà una sensazione mia, ma ho l'impressione che il Mister non sia contento di quello che ha visto e che il dolorino che ha tolto Mirko dal campo abbia preceduto soltanto di un attimo la decisione della panchina.

Però, se si decide di segregare in panchina Del Piero e Quagliarella, bisogna che il preferito garantisca qualità, quantità e, soprattutto, continuità. Due su tre a Vucinic finora mancano. Quando i giochi si faranno duri, vedremo se sarà abbastanza duro per meritarsi tutta questa incondizionata fiducia.

martedì 29 novembre 2011

L'oro zecchino di Napoli

Lo scorso venerdì, alla trasmissione a cui solitamente partecipo, avevo preventivato quattro punti tra Lazio e Napoli. Però, in cuor mio, pensavo ai risultati invertiti e prima della partita con gli azzurri covavo la vivida speranza nella fuga. Tuttavia questo pareggio è d’oro. Oro zecchino. Questo pareggio al San Paolo, sarà una banalità, equivale a una vittoria

Innanzi tutto, perché abbiamo cancellato dalla corsa una possibile (ancorché improbabile) pretendente alle parti più nobili della classifica. Il Napoli è out, e tanti saluti al progetto di De Laurentiis.

Inoltre, per guardare a casa nostra, ci si chiedeva che cosa sarebbe successo quando la Juve si fosse trovata a inseguire. Ecco la risposta, dopo essere stata sotto di due gol per due volte. Situazione che secondo il Mister “avrebbe stroncato qualsiasi altra squadra”. Qualsiasi non so, ma una gran parte di sicuro.

Dopo il pareggio col Bologna e la fatica con la Fiorentina, c’era chi attendeva la Juve al varco di questo terzo turno infrasettimanale. Avanti il prossimo dubbio, che questo non regge.

Rosa corta? Sicuro. Ma stasera non c’era Marchisio e c’era Estigarribia. Sì, quello che ha riaperto la partita la seconda volta e che avrà fatto duemila chilometri sulla fascia sinistra. Poi, se avessimo anche un vero vice-Pirlo, per far rifiatare ogni tanto anche Andrea, e un vero centrale di difesa al posto di Bonucci, saremmo da finale di Champions. Ma per ora ci si accontenta volentieri.

Se poi Pepe segna in tre gare di fila significa davvero che i pianeti si stanno allineando. Non sono ferratissimo in materia, ma spero che il campionato finisca prima del compimento delle profezie Maya: ci rimarrei piuttosto male a non vedere come va a finire questa stagione.

domenica 27 novembre 2011

Qualcosa è cambiato. In tribuna stampa (A-Team su LaStampa.it)

Ora soltanto la scaramanzia può spingerci a non parlare di quella cosa là che ha tre colori e si appunta sul petto (per favore, sulla sinistra, dalla parte del cuore e non come i cafoni sullo sterno).

Dopo aver battuto le milanesi, vincere in casa della Lazio, squadra su cui sto puntando dall'inizio del campionato e che sicuramente finirà in zona Champions, non è più un esame di maturità: è laurea a pieni voti. Martedì si fa il master a Napoli, ma comunque finisca saremo lassù, davanti a tutti.

Il Mister continui pure a fare il pompiere, che va bene così, ma i segnali che qualcosa è cambiato sono evidenti. Non dico in campo, quello lo sapevamo già. Ma fuori, in sala stampa, in tivù: presidi che da tempo sono diventate barricate anti-juventine.

Prendiamo Sky e il duo Caressa-Marchegiani. Sono due professionisti tra i migliori, competenti, hanno ritmo e sottolineano alla grande le fasi gioco, talvolta pure enfatizzandole e facendole sembrare più belle di quelle che sono. Ma quando hanno davanti la Juve, uno torna l'ultrà giallorosso, l'altro non riesce a reprimere il passato laziale e torinista. Sul fallo di mano di Barzagli (scomposto, ma a un metro dalla deviazione di Buffon) si sono soffermati manco fosse stato il calcio di Cantona al tifoso del Crystal Palace.

Segnali. Siamo di nuovo temibili. Come tutti i “però” e i “ma” che leggiamo e ascoltiamo nei commenti. Quelli più repititivi sono “ma gioca sempre con gli stessi 11”, “però ha la panchina corta”, “però dipende da Pirlo”. Tutto vero. Ma per giocare 38 partite, una alla settimana, servono 50 titolari? Se giocano sempre gli stessi 11 e vincono sempre, qualcuno sente l'esigenza di cambiarli? Anche l'Argentina dipendeva da Maradona, ma non ho mai sentito dire “però”.

Ho anche sentito dire settimana scorsa contro il Palermo da un solone in tribuna stampa: “Però Vidal è troppo scarso”. È considerato uno dei più grandi di questo mestiere. Il che mi porta a pensare che di calcio non ci capisco davvero nulla. Anche perché io penso che questa Juve, al di là della classifica e delle statistiche, finora s'è dimostrata la migliore squadra in assoluto di questo campionato.

Proprio la migliore, senza “se” e senza “ma”. E con Vidal.

domenica 20 novembre 2011

Tardelli, Gerrard, Lampard? Marchisio (A-Team su LaStampa.it)

Il calcio sa essere logico. Il Palermo è arrivato a Torino senza punte e senza punti. Pinilla ed Hernandes per una squadra così significano molto, come molto significava aver raccolto in trasferta un unico, misero pareggio e quattro sconfitte, senza uno straccio di gol. Pure la statistica gli giocava contro: aver vinto le ultime tre partite a Torino accorciava radicalmente le possibilità di proseguire un'improbabile striscia.

Con queste premesse non sorprende il 3-0 finale, nonostante nel primo tempo Gigi Buffon abbia avuto l'occasione di ricacciare in gola ai tanti gufi le critiche su un possibile (ma lontanissimo) declino. Il più forte d'Italia è ancora lui, non lo discuto nemmeno più.

Tardellix è già un soprannome che comicia a girare per Claudio Marchisio. Oggi non mi pare più azzardato associarlo al grande Schizzo: finalmente gioca nel ruolo più congegnale (ma ci voleva davvero l'arrivo di Conte per capirlo?) e, per qualità e continuità, sta diventando uno dei centrocampisti più forti d'Europa.

Personalmente, lo vedo come un felice incrocio tra Steve Gerrard e Frank Lampard. Qualità e visione di gioco sommata a un numero impressionante di palle recuperate e di chilometri percorsi. Mi sembra di constatare che anche gli stessi compagni comincino a trattarlo in campo col rispetto riservato a quelli veri, quelli che ti fanno vincere.

Un indizio risiede proprio nell'azione del suo quinto gol di questa stagione (media impressionante, da bomber più che da centrocampista). Sul passaggio di Vucinic, infatti, Matri ha tagliato con i tempi perfetti e, in questi casi, è davvero difficile che una punta di ruolo si privi del tiro quando si trova col pallone in mezzo all'area. Alessandro, invece, ha preferitofare velo per favorire l'inserimento Marchisio. Segno che di lui ci si fida e che ha il carisma giusto per pretendere un velo anche da un attaccante che quando vede la porta come pochi.

Infine, mister Conte invita a non leggere la classifica. A me, sinceramente, riesce difficile: essere primi, con una partita in meno regala una dolcissima vertigine. Quanto al gioco, credetemi, in Italia di gente che gioca meglio proprio non ne vedo.

P.S.: a Martinello, assiduo partecipante al forum di A-Team, un abbraccio e le mie più sincere condoglianze per la perdita della mamma.

venerdì 18 novembre 2011

Rosa tenebra

I dati Fieg sulle diffusioni di ottobre confermano la sensazione di uno sfoglio che dura al massimo il tempo di un caffè ristretto. Così il giornale rosa, in caduta libera, non è più sul podio tra i quotidiani italiani, sorpassata a destra da quello salmonato. E ha già La Stampa negli specchietti, con la freccia accesa. Mai successo in 115 anni di storia.

Corriere Della Sera 460.517 +0,3%
Repubblica 433.211 -3,8%
Il Sole 24 Ore 281.858 +11,3%
La Gazzetta Dello Sport 273.472 -14,3%
La Stampa 265.600 -6,3%
Il Messaggero 182.250 -5,4%
Il Giornale 157.468 -0,6%
Avvenire 108.147 +6,9%
Libero 98.880 -1,3%

Prestissimo, si direbbe

mercoledì 16 novembre 2011

Panchine ghiacciate

Interessante statistica. Prendendo in considerazione i tre allenatori da più tempo alla guida della stessa squadra nei cinque principali campionati nazionali europei, gli italiani sono in fondo e quello che dura da più tempo è all'esordio in Serie A. In Inghilterra, al contrario, non sembrano conoscere la parola esonero.

Premier League Alex Ferguson Manchester Utd 06/11/1986
Premier League Arsene Wenger Arsenal 30/09/1996
Bundesliga Thomas Schaaff Werder Bremen 10/05/1999
Premier League David Moyes Everton 15/03/2002
Ligue 1 Christian Gourcuff Lorient 01/07/2003
Ligue 1 Franck Dumas Caen 01/05/2005
Liga Manolo Preciado Sporting Gijon 01/07/2006
Ligue 1 Alain Casanova Toulouse 31/05/2008
Liga Unai Emery Valencia 01/07/2008
Liga Pep Guardiola Barcelona 01/07/2008
Bundesliga Jurgen Klopp Borussia Dortmund 01/07/2008
Bundesliga Jos Luhukay FC Augsburg 14/04/2009
Serie A Attilio Tesser Novara 11/06/2009
Serie A Walter Mazzarri Napoli 06/10/2009
Serie A Edoardo Reja Lazio 10/02/2010

(Fonte: Opta Sports)

lunedì 14 novembre 2011

Giocheremo così

Apperò

JUVENTUS FOOTBALL CLUB S.p.A. ha depositato in data odierna presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ricorso ai sensi dell’art. 30 del codice del processo amministrativo contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e nei confronti della F.C. INTERNAZIONALE s.p.a. chiedendo la condanna al risarcimento del danno ingiusto subito dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e dal mancato esercizio di quella obbligatoria in relazione ai provvedimenti adottati dalla FIGC nell’estate del 2006 e del 2011.

Con tale atto JUVENTUS intende far accertare la mancanza di parità di trattamento e le illecite condotte che l’hanno generata ottenendo il risarcimento agli ingenti danni che sono prudenzialmente stimati in diverse centinaia di milioni di euro per minori introiti, svalutazione del marchio, perdita di chances e di opportunità, costi e spese.

Il ricorso dà seguito alla pronuncia del Presidente Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport (TNAS) del 9 settembre 2011 che ha rimesso la Società innanzi al TAR limitatamente ai danni e rientra nella più ampia strategia di tutela della Juventus in ogni sede, già preannunciata nella conferenza stampa del 10 agosto 2011.

mercoledì 9 novembre 2011

Calciopoli non si ferma a Napoli


Esistono due categorie di cittadini: quella che a ogni sentenza insorge contro il potere della magistratura e urla al complotto e quella che accetta le decisioni di un potere che nasce indipendente per natura e tradizione democratica. Per cultura, studi, senso civico ed etico mi vanto di ascrivermi al secondo gruppo, proprio nel giorno in cui il mentore e più forte propugnatore del primo vede sfiorire la sua discutibile parabola politica.

Questo per rispondere ai tanti che, direttamente o indirettamente, mi chiedono un giudizio sul processo a Luciano Moggi & co.
Avendo di molto deprecato chi invece di proporre elementi di ragionevolezza (e innocenza) preferiva attaccare gli organi della giustizia, non posso certo pormi altrimenti ora.

A Napoli, di fronte al giudice Teresa Casoria, non si giocava una partita da tifo ultrà. Era un processo penale e, mentre contestare le sentenze di un organo giudicante abborracciato come quello sportivo è lecito e sacrosanto, questa è tutta un'altra faccenda.

Il giudice, che nel processo penale è un organo collegiale e quindi per prendere una decisione deve avere elementi che convincono tutti e tre i giudici, ha avuto il tempo di analizzare tutte le prove a carico e discarico. Al contrario di quanto ebbe un processo sportivo che continua a rimanere vergognoso per modalità e risultati.

Di fatto, che cosa emerge da Napoli? Che Luciano Moggi e la sua cosiddetta cupola condizionava il campionato. Ma occhio, amici ultrà, non per far vincere questo o quello e per rimediare vantaggi sportivi. La sentenza parla chiaro: soltanto per avere vantaggi diretti e personali. Che vanno oltre la Juve. Perché, come recita il sito bianconero: “La sentenza odierna afferma la totale estraneità ai fatti contestati di Juventus, che presso il tribunale di Napoli era citata in giudizio come responsabile civile a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’articolo 2049 c.c.”.

Detto questo, due considerazioni doverose. La prima è che questo è soltanto il primo grado di giudizio, le cui motivazioni sono ancora tutte da leggere. Prima di emettere considerazioni definitive è prudente attendere che la sentenza passi in giudicato. Questo per senso di rispetto verso la giustizia.

Seconda, è che il “tutti colpevoli, nessun colpevole” cercato dalla difesa di Moggi, quando tirava in ballo le telefonate di Moratti e Facchetti è fallito. Ma non ha smontato la tesi, che mi pare molto più percorribile, auspicabile e indifferibile, del “tutti colpevoli, tutti puniti”, che deve stare alla base di un ordinamento democratico degno di questo nome.

Che pertanto siano condannati Lotito e Della Valle e, dopo tutto quello che abbiamo letto e sentito, l'Inter ne esca immacolata appare un'iniquità preclara. Ma il giudice di Napoli non era tenuto a esprimersi su quelle telefonate, portate in aula per dimostrare altro. Ovvero l'innocenza degli imputati e non un'ulteriore colpevolezza. Quello sarebbe stato il compito di una giustizia sportiva convincente e vera. Quella che nessuno avrebbe contestato, mentre, nonostante questa sentenza napoletana, piaccia o non piaccia, si continuerà a fare.

domenica 30 ottobre 2011

Vincere con l'Inter è normale (A-Team su LaStampa.it)

Una vittoria normale. La squadra più forte vince con la più debole, ma non è soltanto questo banale assioma. Negli ultimi tempi, vincere a San Siro sembrava dar gusto a una stagione. Come in un derby romano, come una provinciale contro una grande, come la Fiorentina contro di noi.

Stavolta invece, e finalmente, ha il sapore di una tappa. Che fosse l'Inter è un dettaglio insignificante. Nessuno ci ha messo un significato specifico. È stata una partita speciale solo per Valentino Rossi che twitta il suo malumore particolare per aver perso proprio contro la Juve o i tifosi nerazzurri più beceri che stendono un aberrante striscione da squalifica del campo (e vedremo se l'autorità interverrà, come fa di solito): “Acciaio scadente, nostalgia dell'Heysel”. Per gli uomini di Conte, no. Era una verifica dopo la bella vittoria con i viola.

E il risultato è stato il medesimo: in ordine numerico e anche logico. Un primo tempo in cui avremmo dovuto asfaltare gli avversari anche in termini di gol e, invece, l'abbiamo lasciata aperta, dimostrando che la squadra, ancorché stupendamente promettente, è ancora lontana dalla maturità.

Per il resto, una pernacchia a chi voleva vendere Marchisio soltanto tre mesi fa e un vergognoso velo pietoso sui piagnistei settimanali che hanno portato all'abominio arbitrale di un rigore da tentato omicidio non fischiato. Ma amen, ieri poteva piangere anche la Madonnina delDuomo e l'Inter avrebbe perso comunque, squadra evaporata nel giro di venti mesi, che schiera dopolavoristi come Castaignos e Alvarez là dove allora c'erano Eto'o e il Milito miracoloso dell'una palla, un gol.

In campo, poi, s'è visto l'ovvio: Matri è un centravanti moderno e fondamentale; Lichtsteiner uno degli acquisti più azzeccati dell'ultimo triennio, Vucinic al 60' scoppia perché non ha mai corso così in vita sua; Vidal deve ancora esprimere tutto il suo potenziale, ma è l'anima del centrocampo a tre; Pirlo tre partite alla settimana non le tiene, ma va fatto giocare sempre lo stesso, perché qualcosa inventa (e Rizzoli distrugge). Il celebre 4-2-4 di Conte è rimasto a Siena e samo sempre in attesa di trovare l'animo killer.

Infine, è una fortuna che Ale Del Piero non abbia segnato. Non perché altrimenti avrebbe turbato i delicati equilibri di spogliatoio (“deve giocare”, “non deve giocare”), ma perché la nostra gratitudine per come sta vivendo questo scorcio di stagione, a base di gocce di minuti, potrebbe sembrare insincera. Invece, così, la nostra ammirazione brilla di luce propria: grazie, Capitano vero.

mercoledì 26 ottobre 2011

E così Conte insultò Sinisa (A-Team su LaStampa.it)

All'intervallo, mentre da bravi giornalisti ci avventavamo senza scrupoli sul buffet, il boccone non andava né su né giù. Era come se stessimo perdendo 3-0 e invece eravamo sopra di uno. La sensazione bastarda era quella di aver perso un'occasione, di aver scoperchiato il pentolone delle beffe, di essere lì lì a dar corpo alla banalità della legge del calcio: chi spreca paga.

Ci immaginavano un beffardo Sinisa Mihajlovic che negli spogliatoi si fregava le mani, conscio che essere uscito con un solo gol al passivo dopo una tale mattanza di gioco preludeva a una notte di gioia immeritata.

Lo stesso pensiero devono averlo fatto i bianconeri, in improbabile pigiamino rosa (ma perché, perché, perché?), che, usciti dal tunnel, non sembravano attendere altro che l'ingrato destino si compiesse. Per fortuna, l'ineludibile sberlone non è arrivato fuori tempo massimo come col Genoa, ma al 13', lasciando il tempo alla squadra di riprendersi e reagire.

Questione di maturità. Il processo è ancora lungo, ma se ieri dovevamo capire che cos'è questa Juve, le idee sono un po' più chiare. Non è quella del 2-0 al Milan, ma neppure quella degli inopinati pareggi interni. È una degna via di mezzo, con molte potenzialità ancora da scoprire.

Intanto, è definitivamente acclarato che Conte non è quel talebano che qualcuno all'inizio campionato paventava. I mediocri lo sono, Conte non lo è. Questo è un dato: sa adattare, o almeno ci prova, gli schemi a uomini ed esigenze. Ieri ha visto un centrocampo a tre viola formato da giocatori non di spessore e fuori forma (Munari, Behrami e un inguardabile Kharja) e gli ha opposto una disposizione su due linee, permettendo a Vucinic di aprire la difesa avversaria come un grissino nel tonno della pubblicità.

Sinisa aveva paura di essere insultato e aveva ragione: Conte gli ha dato dell'asino. Se poi ha salvato la faccia, ma neanche tanto, è perché la Juve ha Pepe là dove dovrebbe esserci un Ribery o un Nani. Con uno così, sarebbe stata partita da risultato tennistico già nel primo tempo.

Ma è inutile essere stucchevoli e ripetere sempre la stessa tiritera: la quantità di rado fa coppia con la qualità. Accontentiamoci dell'immenso cuore di Simone, come ci accontentiamo di questa vittoria esageratamente stiracchiata, che comunque ci accompagna a San Siro con un bel po' di tranquillità in più.

domenica 23 ottobre 2011

75 milioni gettati sulle fasce (A-Team su LaStampa.it)

Martinez, Traorè, Motta, Krasic, Lanzafame, Pepe, Lichtsteiner, Giaccherini, Estigarribia, Elia. È la lista di giocatori di fascia arrivati tra lo scorso anno e questo alla Juventus. Nove. E tocca spostare a sinistra il peggior Chiellini della sua carriera o insistere con un Krasic, che ha totalmente perso tempi e sicurezze, per sperare di avere un po' di spinta dalle catene laterali. Inevitabilmente, senza ottenere frutti.

Non è tanto aver pareggiato con Bologna e Genoa
in casa e Catania e Chievo fuori a fotografare questa Juventus. È il modo. L'inane fatica a creare occasioni da gol contro le difese schierate, la mancanza completa di azioni dalle fasce, il timore di dover pensare che la differenza tra la Juve di Delneri e quella di Conte stia tutta nel genio di Sant'Andrea da Brescia. Come ebbi già a scrivere, che il Dio del calcio gli conservi la salute.

L'idea di calcio di Conte è un'altra
(al punto che l'arrivo di Pirlo venne vissuto dall'allenatore come un atto dovuto), perché il gioco dovrebbe generarsi dalle fasce. E qui viene il brutto, perché basta rileggere la lista di inizio articolo per renderci conto che da lì non può arrivare un bel nulla. Nessuno salta l'uomo, nessuno mette al centro cross decenti.

Due stagioni dedicate a trovare il jolly di fascia, cercando tra le seconde linee e gettando danari dalla finestra. Facendo un conto della serva, per difetto e senza contare gli ingaggi a vuoto, per quei nove Marotta ha speso circa 75 milioni di euro. Quanto costa Ribery? Quanto Nani? Quanto Robben? Nasri? Tutti quelli che volete?

Senza contare che sono tre anni che s'invoca un rinforzo al centro della difesa, che avrebbe logicamente dovuto essere il primo, vero obiettivo di mercato. Invece, tocca giocare alle tre carte coi soli Chiellini, Barzagli e Bonucci, dove due su tre oggi non danno garanzie.

Ora Fiorentina e Inter ci diranno davvero quale sarà la nostra stagione. Certo che una Serie A tanto scarsa non la ricordo: non esserne protagonisti sarebbe un grave smacco.

Ciao, Marco. Un grande abbraccio alla famiglia Simoncelli.

lunedì 17 ottobre 2011

Un cretino


Al 6' del p.t., dopo questo colpo di genio, tutti avevano già capito che avrebbe vinto la Lazio.

domenica 16 ottobre 2011

E io leggo la classifica dal fondo (A-Team su LaStampa.it)


Come quei pesi Mosca o Welter che ronzano, ronzano e jab, jab, ma non colpiscono mai con un diretto da K.O., questa Juve corre, pressa, tiene palla e non tira mai in porta. Reato grave, se la sera prima l’Inter affonda nelle secche della zona retrocessione e il Milan vince, perché il Palermo ha perso l’aereo e non è mai arrivato a Milano. Per motivi opposti, oggi a Verona si doveva tentare tutto il possibile per vincere: vuoi per salutare per sempre i nerazzurri, vuoi per sgonfiare l’ingiustificata prosopopea rossonera.

Invece, Conte ha pensato di schierare la stessa formazione della partita vinta col Milan. Non può certo essere Mirko Vucinic il nostro letale uppercut al mento dell’avversario, il colpo che stende. Si sa che il montenegrino assicura un rendimento costante come un orologio a cucù rotto, una partita da Dio e tre da spettatore. La statistica è lì a dimostrarcelo: nella miglior stagione ha segnato 14 gol, nelle altre è rimasto sul limite della doppia cifra. Un anno sopra di un soffio, l’altro sotto, ma sempre lì sta.

Per stendere il campionato serve invece un peso massimo, un attaccante da almeno 20 gol. Avendo Matri in panchina e Quagliarella in tribuna la perplessità della scelta odierna si fanno pressanti. A Conte per trovare il rimedio giusto non serve neppure scomodare le strategie di Marotta: basta mettere in campo almeno uno dei bomber che ha. E spostare Mirko (o il Capitano) come seconda punta.

E, naturalmente, dare un mesetto di riposo a Krasic, che ormai non c’è più con la testa. Recuperarlo vuol dire lavorare di fine psicologia, ma non è possibile vederlo in campo ridotto così. Invece, piace molto come sta interpretando la sua nuova stagione della vita il Capitano: s’allena, gioca (bene) quando può, accetta ogni decisione dell’allenatore e non fiata. Un vero Capitano.

Comunque, per non perdere il buon umore che questo pareggio avrebbe potuto rovinare, stasera basta leggere la classifica dal fondo.

mercoledì 12 ottobre 2011

Milano Kalibro Kobe

Me lo segnalano gli amici di FourFourTwo inglese. Da noi non mi sembra sia girato, ma è semplicemente stupendo: le facce sono perfette da poliziottesco. Forse giusto Marchisio è un po' troppo perfettino per il ruolo.


lunedì 3 ottobre 2011

Il campionato è de-milanesizzato (A-Team su LaStampa.it)

Ero nell'anticamera degli studi televisivi nel prepartita di ieri con un noto corsivista economico-politico del Corriere della Sera, ci erano appena arrivate le formazioni ufficiali. Non l'avrei mai confessato in diretta per ovvia scaramanzia, ma mi è bastato scorrerle per dirgli: "A leggere i due centrocampo non c'è partita". Mi ha guardato come un marziano e allora, a scanso d'equivoci, mi sono sentito in dovere di sottolineare: "Siamo nettamente superiori".

Se da una parte schieri quattro uomini, di cui un classe 1977 (van Bommel), un 1976 (Seedorf), un Nocerino (con tutto il rispetto) e un infortunato (Boateng, in dubbio fino all'ultimo), non puoi pretendere di giocartela contro un centrocampo a cinque, dove tre (Pirlo, Marchisio e Vidal) hanno un tasso tecnico e una forma superiore.

Conte l'ha vinta prima ancora di giocarla. Questa è stata la sua notte. Ha fatto tre scommesse forti: Chiellini a sinistra, dopo una disgraziatissima settimana; il centrocampo a cinque; Vucinic unica punta. Le ha vinte tutte e tre. Se un giocatore va al casinò e infila tre numeri secchi a fila, non è più fortuna: sa come gira la pallina. E se alla roulette è illegale, sul rettangolo verde è professionalità. E un quid di classe.

Cinque giornate sono poche per le sentenze definitive, ma il campionato sembra davvero de-milanesizzato. Tre sconfitte per i nerazzurri e due scontri diretti persi per il Milan disegnano un quadro molto vicino a essere definitivo. Nelle ultime tre stagioni rossoneri e nerazzurri hanno vinto lo scudetto con quattro sconfitte in totale. La statistiche non mentono. Inoltre, si dice che rimontare una squadra è possibile, tante è difficile? Be', il Milan davanti ne ha 14, l'Inter 16.

Cambiano le gerarchie e, con tale vuoto di potere, si può infilare chiunque. Il Napoli, certo. L'Udinese, chissà. La Juve? No. L'ho dichiarato all'inizio: sono scaramantico.

domenica 2 ottobre 2011

Se e sottolineo se

L'occasione per de-milanesizzare il campionato. Già alla quinta lo scudetto può cambiare coordinate.
P.S. Non dite a Moratti che De Laurentiis usa schede svizzere.

lunedì 26 settembre 2011

La strana parabola di Giorgione (A-Team su LaStampa.it)

Nel torneo del "ciapa no", dove sembra vincere chi non prende le carte in tavola, abbiamo evitato di calare la briscola anche a Catania. Tuttavia, è pur vero che Vidal ha avuto in mano un carico da "strozzo" dal dischetto e Krasic un contropiede in cui poteva fare qualsiasi cosa ma non quella che ha fatto, ma si poteva allegramente perdere e nessuno avrebbe potuto lamentarsi.

E qui, al solito, tocca tirare in ballo la difesa, problema annoso, la cui soluzione continua a essere differita. Stavolta rimandata a gennaio, quando arriverà tal Rhodolfo, che finora s'è segnalato per l'H nel nome da cameriere di Riviera Ligure.

Possiamo comunque sostenere che se si cambiano tutti gli elementi fuorché uno e il risultato non cambia, scientificamente, la causa risiede in quello. Ovvero, Giorgio Chiellini, la cui involuzione è allarmante. Grinta e carattere finora ne hanno circoscritto i limiti tecnici, ma più si sale e più la qualità conta. Il Chiello sembra proprio incapace di fare il salto di qualità. La prestazione di ieri è stata sinceramente imbarazzante. Per due volte, da ultimo uomo, ha portato la palla verso il centro e l'ha persa: un errore che in una scuola calcio ti relega in panchina.

La scorsa stagione auspicavo un suo spostamento a sinistra, dove avrebbe fatto meno danni. Gli errori di Catania però nascono proprio dalla fascia. Direi perciò che a questo punto Giorgione merita di riposare un po', che così rischia davvero di farsi (e farci) male. Abbiamo caricato tutto il peso di una coppia centrale ballerina su Bonucci (il quale le sue belle colpe ce le ha), ma temo che abbiamo sbagliato mira.

Andrea Barzagli, invece, sta dando dimostrazione, partita dopo partita, che anche senza H nel cognome si può garantire continuità e solidità. Meriterebbe di trovarsi al fianco qualcuno con la testa più lucida dell'attuale Chiellini, altrimenti pure per lui potrebbe accendersi la spia della riserva. Non può correre e faticare sempre per due. Ieri l'ha fatto pure con una gamba sola, essendosi infortunato subito dopo il terzo cambio. Prima o poi, tanto per dirne una, mi piacerebbe vedere Sorensen nel suo ruolo naturale, ovvero al centro.

Infine, menzione speciale per Simone Pepe. Se avesse di fianco Vialli, Deschamps e compagnia potrebbe ambire a diventare il nuovo Angelo Di Livio, uno che ha avuto la sponda giusta per aggiungere qualità a un esemplare animus pugnandi. I presupposti son ben diversi e perciò accontentiamoci della voglia e della caparbietà di un giocatore, dal quale comunque c'è da prendere esempio.

giovedì 22 settembre 2011

Conte, un colpo da fuoriclasse

Lo stavo aspettando al varco. Volevo proprio vedere come avrebbe reagito Antonio Conte al primo momento di vera difficoltà. L'occasione, di cui avrei fatto volentieri a meno, me l'ha data Mirko Vucinic, uno al quale andrà spiegato molto bene la differenza tra essere alla A.S. Roma e alla Juventus F.C.

Subire il gol del pareggio quando si è in dieci, col fardello psicologico di rendersi conto che si sta buttando alle ortiche un'occasione, è un momento topico, di potenziale crack. Invece, dopo due cambi telefonati (Matri per Del Piero e Giaccherini per l'abulico Krasic), ecco quello che non t'aspetti: a un quarto d'ora dalla fine, con la squadra comunque in commovente forcing, il Mister richiama un terzinaccio (De Ceglie) e inserisce una mezzala (Vidal). Mi sono alzato ad applaudire come se avessimo segnato.

Ma è di più: questa è prospettiva. Non so ancora se abbiamo trovato l'Allenatore, quello con la A maiuscola. Di certo, Antonio Conte sta facendo vedere molto di più delle attese, e questo è stato un colpo da vero fuoriclasse.

Poi, non s'è vinto, e facciamocene una ragione. Se però al 94' vediamo tutti e nove gli uomini che, seppur stanchi, spossati e arrabbiati, si vanno a intruppare nell'area avversaria per collezionare un corner dietro l'altro, nella convinzione di poter vincere, be', sento che allora sta davvero tornando qualcosa di vecchio, anzi di nuovo: si sta alzando l'aria giusta.

P.S.: un saluto da Pirlo agli amici rossoneri.

mercoledì 21 settembre 2011

Mai stati in B. Ancora per poco

Non so perché, le disfatte umane come quella di Gasperini, un uomo che insegue per una vita la grande occasione e la spreca in due mesi, mi raggelano il sangue, anche se è obiettivamente tutta colpa sua.

domenica 18 settembre 2011

E intanto siamo a +5 (A-Team su LaStampa.it)

Intanto il dato nudo e crudo: Inter, Roma e Lazio sono a -5, in attesa di vedere dove saranno Milan e Napoli. Lo sciopero sia benedetto: abbiamo evitato lo scoglio iniziale della trasferta di Udine e il calendario s’è presentato perfettamente inclinato. Mercoledì c’è il Bologna in casa, poi il Catania. C’è il vivido rischio di arrivare al match col Milan a punteggio pieno, con 12 punti.

Visto che gran parte del lavoro di Conte si concentra sull’autoconvincimento, arrivare a quel punto con una mezza dozzina di punti di vantaggio sulle più forti sarebbe davvero un “boost” mica da ridere.

Intendiamoci subito, questa squadra non è il Barcellona. Ma è altrettanto vero che questa non è la Champions League, è il campionato di Serie A, dove di squadroni e campionissimi se ne vedono ben pochi. Gli avversari non si scelgono, arrivano: perciò, se poi sono quello che sono (leggi Parma e Siena) e si vince, non si può sempre fare i Tafazzi, lamentandosi che ci vogliono altre verifiche. Questo ci danno e questo prendiamo. Insieme ai tre punti.

Vogliamo comunque entrare nel tecnico? Allora, la mia sensazione è che, al contrario delle ultime due stagioni, c’è una squadra che segue l’allenatore. Alcune sue scelte non le condivido (come insistere su un passerotto come Giaccherini o non sostituire al volo Vucinic, che si capisce subito quando non ci ha voglia, al di là dell’assist), ma gente che tira indietro la gambetta non ne vedo. Manca totalmente il suo gioco sulle fasce, ma temo che il problema stia negli interpreti. Quando ci farà vedere Krasic in campo? Con Giaccherini e Pepe tanto lontano non si va.

Pirlo allunga la striscia di migliore e sembra girare pure la difesa, che in due partite ha preso un gol solo al 93’, sul 4-0. Barzagli si sta dimostrando un ottimo acquisto, ma i progressi della fase difensiva sono in gran misura determinati da una qualità del centrocampo che, a ripensarci, quella dell’anno scorso mi fa venire i capelli bianchi dalla rabbia.

Essere fuori dall’Europa è una maledizione, ma visto che è, rendiamola un’opportunità. Le squadre che giocano più volte alla settimana stanno tutte arrancando. Scaviamo il fosso, prima che vengano eliminate (e succederà presto per quasi tutte).

giovedì 15 settembre 2011

Essenze

A luglio a TeleNova dissi: "Gasperini profuma di Delneri". Ho avuto naso.

martedì 13 settembre 2011

L'avevo nel cellulare

E mi sembrava uno spreco tenerla tutta per me. E' una delle foto della cerimonia d'inaugurazione dello Juventus Stadium. Non è bellissima?

Con tutti quei trofei... (cliccate per ingrandire)

domenica 11 settembre 2011

God bless Andrea Pirlo (A-Team su LaStampa.it)

Non so che significhi questo 4-1 in prospettiva. Forse poco, forse niente, ma so che lo scorso anno abbiamo cominciato perdendo a Bari, mentre oggi ho visto una squadra attaccare anche sul 4-0. Poi, proprio per questo, s’è presa un gol e, soprattutto, il rosso di De Ceglie, ma è un segnale che, comunque se lo rigiri, mi piace.

Per il resto, direi che la sintesi più macroscopica del rapporto tra la Juve di Delneri e questa di Conte è che lo scorso anno il gioco veniva impostato da Felipe Melo, oggi da Pirlo. Sportivamente parlando, è come essere guariti da una brutta malattia. (Se in altra occasione vogliamo, possiamo pure impegnare ore per provare a spiegarci come solo si potesse pensare dare il boccino in mano a uno come il brasiliano, ma oggi no: non voglio rovinarmi la giornata).

Detto questo, oggi non si poteva che vincere. Il Parma pareva saperlo ed è entrato nel sempre più galvanizzante Juventus Stadium con l’entusiasmo del capretto sacrificale. Il resto l’ha fatto il dodicesimo uomo in campo, che sarà anche una definizione retorica, ma una cosa è giocare in un catino vuoto con lo spettatore più vicino che intuisce la palla solo se ha il binocolo, un’altra con la gente che se allunga il braccio ti piglia a schiaffi.

A spanne, io dico che questo stadio ci porterà almeno cinque o sei punti in più. Gli altri vanno fatti con una squadra che, non ci piove, rispetto a quella dello scorso anno ha un tasso tecnico neppure comparabile. E, nel calcio almeno, vince sempre chi ha classe.

Intanto, diamo il benvenuto nella sua nuova casa ad Andrea Pirlo. Finalmente un nuovo arrivo degno di cotanta gloriosa maglia. Che il Dio del calcio gli preservi la salute: il nostro campionato dipende un bel po’ anche da quella.

venerdì 9 settembre 2011

Io c'ero

Io c'ero. E c'ero già prima di entrare nella Nuova Casa. C'ero in autostrada, sulla A-4 Milano-Torino, quando insieme a decine e decine di auto tutte bardate di bianconero, sono giunto allo svincolo per la tangenziale, direzione Venaria, e ho letto l'indicazione: “Stadio Juventus”. Non stadio e basta, non stadio Delle Alpi. Stadio Juventus. Come se fosse una città, e infatti è di più: è un popolo intero. Quello che ieri sera s'è riversato in massa a coronare un sogno. Imboccando quella deviazione, ho capito che era anche metaforica: la storia del calcio italiano stava svoltando e si immetteva nel futuro.

E poi c'ero quando sono arrivato sotto l'ingresso della Tribuna Centrale, o come cavolo si chiama, e ho letto i caratteri monumentali che lo sormontano: Juventus Football Club. Vedendo quella scritta, chissà che emozione avrebbe ricevuto l'Avvocato, che diceva che la J maiuscola sui giornali gli faceva balzare il cuore, qualsiasi altra lettera venisse dopo. Già dalla strada è chiaro che lì entriamo solo noi, che è solo nostro. È casa nostra e tutti gli altri sono ospiti (e per lo più indesiderati).


C'ero anche quando il presidente Andrea Agnelli ci ha dato il benvenuto e, non inquadrato dalle telecamere, ha strappato l'erba del prato, quello “che non sa mentire, perché dice sempre la verità”.

E c'ero quando Giampiero Boniperti, 461 partite in bianconero, non riusciva a leggere il discorsetto, non perché aveva gli occhiali in tasca, ma perché le lacrime che gli offuscavano la vista, mentre noi sugli spalti inghiottivamo un'emozione immensa quanto lui.

E poi c'ero quando s'è accesa la fiaccola “In Memory” e mi sono maledetto per non essere riuscito a portare i miei figli e poter piangere di commozione con loro, come piansi con mio padre sotto il tramonto rosso sangue di Bruxelles.

Io c'ero e, per la prima volta da juventino, mi sono sentito davvero a casa. Welcome home.

martedì 6 settembre 2011

mercoledì 31 agosto 2011

Tanto io seguo un altro sport

S’è chiuso il mercato e tocca parlarne. Dura dopo un weekend dove il Manchester United ha rifilato 8 gol all’Arsenal che aveva liquidato l’Udinese nei preliminari di Champions; dove il Barcellona, squadra tra le più belle in assoluto che i miei occhi abbiano mai potuto osservare, ha regalato una “manita” anche al Villareal di Pepito Rossi, squadra che va tanto di moda nel giornalismo nostrano; dove il Real Madrid ne fa 6 al Saragozza e ha una fame tale che al sesto gol esulta come se fosse il primo.

Dura quando di colpo si dimezza il parco di campioni di livello mondiale del nostro intero campionato: è successo quando l’altro è scappato in Russia.

Dura quando pure gli allenatori perdenti e nonostante ciò riconfermati fuggono all'estero.

Dura quando partono un 23enne (Alexis Sanchez) e un 22enne (Javier Pastore), e si spaccia l’arrivo di un anziano bucaniere di 32 anni (Diego Forlan) come una giusta compensazione.

Durissima quando tocca leggere che il mercato finisce col botto perché qualcuno compra Zarate o Nocerino.

Quasi impossibile se tutta Italia sa da sei anni che alla Juve serve un centrale di difesa e quelli comprano dieci giocatori in ogni altro ruolo possibile.

Sarà che quest’estate, girando l’Europa e non potendo seguire da vicino le vicende nostrane, mi sono abituato a guardare un altro sport . Per tutto agosto, infatti, ho seguito il calcio e, pensate un po', ho scoperto che mi piace.

giovedì 28 luglio 2011

Consideriamolo un modo per farci gli auguri

Łukasz Merda, portiere del Klub Sportowy Cracovia
Se tutto va bene, ci rivediamo all'inizio del campionato! Buone vacanze a tutti!

martedì 19 luglio 2011

Allarme o all'armi?

C'è un luogo comune, messo in giro da chissà quale buontempone, per cui “nel calcio la politica non deve entrare”. Cioè, qui si gioca e si fa sport, le cose serie, con tutte le loro sporcizie, devono stare fuori degli stadi. A parte che potremmo stare settimane a disquisire sull'accezione della parola “politica”, ci vuole un bel coraggio a dire che i signori Berlusconi, Agnelli, Moratti, Abete, senza contare le banche e gli istituti di credito, non la facciano. Che non esercitino potere. Che non giochino partite diverse dal calcio. Che non lo facciano sulla pelle di milioni di tifosi.

Come gran parte del vivere civile, anche il sistema football si basa sulla politica. Fin troppo banale, nonostante faccia comodo pensare che lo sport viva in una bolla di sapone profumato. Direi piuttosto che mai come in questo periodo balzi all'occhio come il governo del calcio sia lo specchio del Paese.

Nel solito, infinito editoriale di Eugenio Scalfari su Repubblica di domenica 17 luglio, s'annidano un paio di righe insinuanti: “Per uscire dallo stallo è necessario un più vasto concorso di popolo e di istituzioni, ciascuna nell’ambito della propria competenza. La classe dirigente, le forze sociali, la società civile sono chiamate a dare un fondamentale contributo”.Che tipo di contributo?

Il deputato e giornalista Paolo Guzzanti, osservatore ondivago che da ultimo traccheggia verso lidi del tutto opposti, l'ha individuato ai microfoni della Zanzara, su Radio24: “È un incitamento all'insurrezione”. Detto senza intonazioni scandalizzate, piuttosto con presa d'atto, quasi inevitabile. Pareva persino condividere la proposta. La sedizione come proposta bipartisan.

D'altronde, se un governo non sa prendere neppure la decisione di andarsene, i rischi che si corrono sono ben conosciuti al di là del Mediterraneo. Non siamo il Maghreb e questa è l'unica consolazione.

Però l'inquietudine striscia. Persino Gian Antonio Stella scrive sul Corriere (non su Lotta Continua!) del 18 luglio: “L'impressione netta è che, mentre chiedono ai cittadini di mettersi «una mano sul cuore e una sul portafoglio», per usare un antico appello di Giuliano Amato riproposto da chi aveva seminato l'illusione di non mettere mai le mani nelle tasche degli italiani, quelli che Giulio Einaudi chiamava «i Padreterni», non si rendano conto che il rifiuto di associarsi a questi sacrifici rischia di dar fuoco a una polveriera”.

È vero, un governo che non governa è miccia per polvere pirica. Il calcio, che – va ribadito - è politica, viaggia sugli stessi binari. Non può il presidente della Federazione dichiararsi incompetente a decidere sullo scudetto, cioè il massimo momento dello sport che rappresenta. È come se il Governo si dichiarasse incompetente a varare la Finanziaria. Incapace è un conto, incompetente mai. E qualora lo ammettesse: valigie immediate.

Invece, il governo del calcio è lì, stabile, con un Presidente che dal 1996 balza dalla sedia di vice a quella di titolare, senza perdere un colpo. Nel 2006, era il vice di Franco Carraro e ha resistito imperterrito anche allo tsunami di Calciopoli: non ha nemmeno dovuto riciclarsi alla Federsci.

Se si vuole evitare una rivoluzione da stadio, bisogna intervenire al volo. Dall'alto, dal basso, da dove volete: ma un movimento così ampio e che smuove sentimenti tanto viscerali ha bisogno di una guida ferma, autorevole e riconosciuta. Questo consiglio federale è quanto di più lontano. È un consiglio incompetente. La soluzione per salvare il nostro calcio non passa più dai tribunali: è, guarda caso, l'ennesima questione politica.

lunedì 4 luglio 2011

E d'un tratto s'è cartonato un gran bel pezzo di bacheca

Leggendo le motivazioni del procuratore federale Palazzi l'Inter può esultare: se le intercettazioni telefoniche fossero saltate fuori nel 2006, i nerazzurri sarebbero stati puniti come e più di Milan, Lazio e Fiorentina (non tocco la Juve per pudore e conflitto di miei interessi).

Perciò, con quella che può tranquillamente essere ascritta come frode nei confronti dell'ingenuità dei suoi tifosi, l'Inter, indossando la spilla "Io vinco pulito" sul frac bianco, ha rastrellato il celebre scudetto cartonato 2006 come mancia, ma soprattutto il bottino vero: un filotto di altri quattro scudetti, la Champions e il Mondiale per club, più coppette Italia varie. Il furto del secolo, non c'è che dire.

Se le parole sono pietre, come sosteneva Primo Levi, quelle di Palazzi sono sassate all'altarino nerazzurro, quello costruito sulla sedicente superiorità morale. Come già ebbi a scrivere, citando il grande Beck, “Nel calcio il più pulito ci ha la rogna”. Ora vedremo chi saprà grattarsela. Queste sono parole da richiesta di retrocessione, senza il minimo dubbio: "Questo Ufficio ritiene che le condotte in parola siano tali da integrare la violazione, oltre che dei principi di cui all'art. 1, comma 1, CGS (codice di giustizia sportiva, ndr), anche dell'oggetto protetto dalla norma di cui all'art. 6, comma 1, CGS, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale F.C., mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza, che devono necessariamente connotare la funzione arbitrale. Oltre alla responsabilità dei singoli tesserati, ne conseguirebbe, sempre ove non operasse il maturato termine prescrizionale, anche la responsabilità diretta e presunta della società ai sensi dei previgenti artt. 6, 9, comma 3, e 2, comma 4, CGS".

In un colpo s'è cartonato un bel pezzo di bacheca nerazzurra. So come reagirà Moratti e m'importa poco. L'unica vera curiosità è leggere domani il titolo del giornale che sbraitava contro Moggiopoli.

Nient'altro da aggiungere, Vostro Onore

(Adnkronos) - L'Inter ha violato l'articolo dell'illecito sportivo (art. 1 e art. 6 del vecchio Codice di giustizia sportiva). Lo scrive il procuratore federale della Figc, Stefano Palazzi, nelle 72 pagine redatte per illustrare le motivazioni della decisione sull'esposto presentato dalla Juventus per lo scudetto 2005-2005.

La Procura federale ritiene che le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro, come documentato dalle intercettazioni evidenziate durante il processo penale di Napoli, fossero ''certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale FC, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza, che devono necessariamente connotare la funzione arbitrale".

Dai documenti ''è emersa l'esistenza di una rete consolidata di rapporti, di natura non regolamentare, diretti ad alterare i principi di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore arbitrale, instaurati, in particolare fra i designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto (ma anche, sia pur in forma minore, con altri esponenti del settore arbitrale) ed il Presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti''.

''Dalle carte in esame e, in particolare, dalle conversazioni oggetto di intercettazione telefonica, emerge l'esistenza di una fitta rete di rapporti, stabili e protratti nel tempo'' con l'obiettivo, tra l'altro "di condizionare il settore arbitrale''.

''La suddetta finalità veniva perseguita sostanzialmente attraverso una frequente corrispondenza telefonica fra i soggetti menzionati, alla base della quale vi era un consolidato rapporto di amicizia, come evidenziato dal tenore particolarmente confidenziale delle conversazioni in atti'', afferma la procura.

Secondo la relazione, ''assume una portata decisiva la circostanza che le conversazioni citate intervengono spesso in prossimità delle gare che dovrà disputare l'Inter e che oggetto delle stesse sono proprio gli arbitri e gli assistenti impegnati con tale squadra'', si legge ancora.

''In relazione a tali gare il presidente Facchetti si pone quale interlocutore privilegiato nei confronti dei designatori arbitrali, parlando con essi delle griglie arbitrali delle gare che riguardano la propria squadra nonche' della stessa designazione della terna arbitrale ed interagendo con i designatori nelle procedure che conducono alla stessa individuazione dei nominativi degli arbitri da inserire in griglia e degli assistenti chiamati ad assistere i primi''.

''In alcuni casi -osserva la procura- emerge anche l'assicurazione da parte dell'interlocutore di intervento diretto sul singolo direttore di gara, come rivelato da alcune rassicurazioni che il designatore arbitrale rivolge al proprio interlocutore, in cui si precisa che l'arbitro verra' 'predisposto a svolgere una buona gara' o, con eguale significato, che e' stato 'preparato a svolgere una bella gara'; o ancora, affermazioni del designatore volte a tranquillizzare il presidente Facchetti sulla prestazione dell'arbitro, nel senso che gli avrebbe parlato direttamente lui o che gia' gli aveva parlato''.

''In un caso, addirittura, il designatore arbitrale, nel tentativo di tranquillizzare il proprio interlocutore e sedare le preoccupazioni di quest'ultimo sulle tradizioni negative della propria squadra con un determinato arbitro, afferma che quest'ultimo è stato avvertito e che sicuramente lo score dell'Inter sotto la sua direzione registrerà una vittoria in piu' in conseguenza della successiva gara di campionato'', afferma ancora il procuratore.

''Tale capacità di interlocuzione in alcuni casi diventa una vera e propria manifestazione di consenso preventivo alla designazione di un arbitro e rappresenta un forte potere di condizionamento sui designatori arbitrali, fondato su rapporti di particolare amicizia e confidenza che il Presidente Facchetti puo' vantare nei confronti degli stessi designatori e che trovano la loro concretizzazione espressiva nella effettuazione anche di una cena privata con Bergamo e nello scambio di numerosi favori e cortesie (elargizione di biglietti e tessere per le gare dell'Internazionale, di gadget e borsoni contenenti materiale sportivo della squadra milanese, etc...) e non meglio precisati 'regalini'''.

giovedì 30 giugno 2011

Un 2011-12 in Seitiro

Presentato il nuovo pallone della prossima stagione. Questo è quello che è successo nello splendido spazio Studium, a Milano, quando è comparso l'articolo.

Di fronte agli obiettivi arrapati da Seitiro, Fabio Guadagnini (SkySport e presentatore dell'evento),
Andrea Rossi (Nike) e Maurizio Beretta (Lega calcio)
Che poi è questo, con i gemellini di Liga e Premier.


Le caratteristiche? Prima di testarle sull'augusto campo dell'Argonnedrome, copio e incollo dalla cartella stampa:

1. Rivestimento in PU con micro-scanalature a garanzia di ottimo tocco di palla e una
lunga durata.
2. Elevate prestazioni visive garantite della tecnologia Nike RaDaR.
3. Distribuzione omogenea della pressione garantisce una risposta stabile del pallone
indipendentemente da dove lo si colpisca, offrendo su tutta la superficie quello che in
termine tecnico è definito “sweet spot a 360° gradi”.
4. La sfericità ottimale permette al pallone di volare più velocemente, più lontano e con
maggior precisione.
5. La schiuma ad azoto espanso flessibile e reticolata garantisce la durata e il
mantenimento della forma del pallone.
6. La camera d’aria a sei pannelli in lattice e carbonio consente un’accelerazione
esplosiva quando lo si colpisce.
7. Progettato su specifiche tecniche approvate dalla FIFA, pesa tra i 420-445 grammi e ha
una circonferenza compresa tra i 68.5-69.5 centimetri.


Anche la Serie Bwin giocherà le gare della stagione 2011-2012 con una versione
personalizzata del Nike Seitiro.

Il Nike Seitiro sarà in vendita da domani nei Nike Store e su www.nikestore.com al prezzo di 110 euro.

martedì 28 giugno 2011

Sentimento impopolare

Nel 2005, da ministro della Giustizia, Roberto Castelli se ne uscì con questa bizzarra definizione: “la Giustizia, secondo la Costituzione, è amministrata in nome del popolo, questo hanno stabilito i padri costituenti. Il magistrato deve sentenziare secondo il comune sentire del popolo e ciò significa saper interpretare quel che, in un dato momento storico, è il sentimento popolare”.

Di quale Costituzione non fece cenno, probabilmente disinteressato a quella italiana, che al contrario, all'articolo 10, recita chiaramente che la giustizia è “amministrata in nome del popolo” e i “giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Di “comune sentire” non ne parla minimamente, ed è ovvio: più che spesso il “sentimento popolare” è privo di nozioni giuridiche e garantiste. Ma sulle rive del Po tutto è concesso, perciò che Castelli, pur da Ministro della Repubblica italiana, se ne sia uscito con una fregnaccia monumentale non meraviglia nessuno.

Purtroppo, però, il concetto di “sentimento popolare” ha poi fatto breccia al punto che è stato unanimemente accolto nel calcio da Calciopoli in poi e introiettato così tanto dai tifosi da crederlo alla base della sentenza. Una superficiale ricerca su Google spingerebbe a credere che sia addirittura citato nelle motivazioni, ma nessun giurista al mondo (escluso Castelli, che è tutt'altro) si sognerebbe di metterlo per iscritto, neppure se lo pensasse.

La definizione, invece, fu coniata professor Mario Serio, direttore del dipartimento di diritto privato alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo, uno dei cinque membri della Corte Federale. Sempre molto critico, si dimise dopo quella sbrigativa sentenza e commentò Calciopoli “come un'aberrante sentenza sull'onda del sentimento popolare”.

Ristabilita la realtà lessicale, attendiamo in queste ore che venga ristabilita anche la giustizia sportiva. Massimo Moratti parla ancora di “sensazioni” circa la congruità di tenere in bacheca uno scudetto malato. Stavolta però le impressioni non bastano: ci sono le intercettazioni che il “sentimento popolare” del 2006 ignorava (mi sarebbe piaciuto leggere come le avrebbe commentate il giornale rosa di allora, quello per cui – unico al mondo - lo scandalo era Moggiopoli).

Le probabilità che anche lo scudetto 2006 venga revocato sono molto alte. Ma la vera incognita è su che cosa succederebbe poi. Quali giochi di equilibrismo tra una prescrizione e l'altra permetterebbero a Giancarlo Abete di non infierire sull'Inter anche a livello sanzionatorio.

Il fixing del “sentimento popolare dei media” (soprattutto quelli controllati dalla forte lobby milanese) dà al momento un grande vantaggio per l'operazione “coperchio”: Moratti restituisce l'immeritato scudetto e tutto finisce lì.

La logica però va in senso contrario: se anche l'Inter verrà riconosciuta inadatta a indossare quel tricolore è perché qualcosa di poco pulito ha combinato. Toglierle uno scudetto che non ha mai vinto non è una punizione proporzionata.

Sono curioso di scoprire che cosa s'inventerà Abete. Perché da buon democristiano qualcosa se lo inventerà di certo.

lunedì 20 giugno 2011

Il calcio italiano a canestro

Il campionato di basket assomiglia sempre di più a quello di calcio. O viceversa, se preferite. Il quinto scudetto a fila proietta Siena nella leggenda e tra 50 anni ce lo ricorderemo come ci stiamo ricordando della Borletti Milano. Ma quanto fa bene alla pallacanestro un filotto del genere?

Io dico niente. Come non ci hanno fatto bene le vittorie senza storia dell'Inter degli ultimi anni. Lo scudetto del Milan è una ventata (non di aria fresca, ma accontentiamoci), ma gli effetti della dittatura si sentono lo stesso.

I destini dei due sport più seguiti d'Italia sono paralleli. Sky, la maggior fonte d'introiti di un sistema zoppo, ha già annunciato che non comprerà i diritti televisivi del basket. Il pubblico non ama seguire un campionato che si sa già come andrà a finire e il bacino di una città piccola come Siena di certo non aiuta.

Per altri versi, la minaccia è arrivata anche al calcio, ma l'onda distruttiva di un albo d'oro inchiodato su Milano giunge da più lontano e s'infrange sul calciomercato.

Possibile che l'Inter campione del mondo per club debba cambiare il quarto allenatore in tre anni? E, qui sta il clamoroso, nelle ultime due estati s'è vista dare il benservito dall'allenatore? Di solito, accade il contrario: non si vede praticamente mai un allenatore fuggire, strappando il contratto. Nei top team, come si chiamano oggi, proprio mai.

Sul Corriere, Sconcerti si interroga beffardo sulla strategia dell'Inter: “Siamo alla casualità più assoluta, non c’è nessun determinismo. Le grandi società non sono figlie degli orfani del mercato, decidono da sole cosa vogliono essere. E in base alla propria decisione scelgono il tecnico. L’Inter sta cercando senza avere un’idea di sé”. Il che è sacrosanto, ma non riguarda soltanto l'Inter, tutta la serie A ci è dentro fino al collo.

Lo scorso anno s'è giocato un campionato, probabilmente il primo della storia (a esclusione del primo in assoluto), dove non c'era neppure un allenatore scudettato. Quest'anno, se l'Inter non tira il coniglio fuori dal cappello, ne avremo uno, ma giusto perché Allegri l'ha appena vinto. Non è normale e non è un bel segnale.

Poi, di tutti i campioni gridati a nove colonne in arrivo dall'estero, abbiamo una sola certezza: quella che quelli che si sono formati qua, come Sanchez, se ne andranno. Non è soltanto questione di soldi, è prestigio, visibilità e, ammettiamolo, divertimento.

Il nostro è un campionato dove non si diverte più nessuno e dove non succede più niente. SkySport24 è lo specchio di questa tristezza: lo tieni spento una settimana e quando lo riaccendi i titoli che scorrono nel sottopancia sono gli stessi. Dello scorso anno.

Fino a quando l'australiano sarà disposto a scucire mille milioni per uno spettacolo tanto polveroso? Altro che calcio scommesse. Il calcio italiano guardi ai conti del basket se non vuole rischiare la stessa fine. Uno che fa beneficenza di rado viene soprannominato lo Squalo.

sabato 18 giugno 2011

Tutti colpevoli, nessun colpevole?

Ho l'onore di essere amico di due veri maestri di un giornalismo che non c'è più. E che, proprio perché troppo qualificati, l'editoria italiana, ormai cronicamente incapace di riconoscere il valore aggiunto dei fuoriclasse e interessata soltanto ai conti economici, li ha spinti alla pensione. Meglio una pletora di stagisti a costo zero che altrettanto abbiano da dire (e da protestare sindacalmente, ma questo è un altro discorso), che due esperti signori, con decine di Mondiali e Olimpiadi nelle suole.

Due così dovrebbero essere prime firme dei maggiori quotidiani italiani, invece si trovano a barcamenarsi tra web, canali televisivi regionali e il riconoscimento di quei lettori ancora non obnubilati e rimbambiti dal giornalismo megafono dei poteri forti.

Questi due maestri è ora che li presenti: si chiamano Roberto Beccantini e Franco Rossi.

Ebbene, entrambi, in tempi non sospetti, perciò pre-Calciopoli, mi regalarono due aforismi del tutto coincidenti. Mi risuonano in testa sempre più spesso, in questo disgraziato periodo.

Il Beck, mentre raccoglievo il materiale per Moggi Bianco & Noir (che, ci tengo a ricordarlo, non fu un instant-book, ma nacque prima dello scandalo, anche se venne pubblicato in contemporanea), mi dettò brutalmente: “Nel calcio il più pulito ci ha la rogna”.

Francone, senza consultarsi, rimarcò: “In un bordello è inutile cercare vergini”.

Ovvio che queste due lapidarie definizioni viene da applicarle quando si commenta la radiazione di Moggi, Giraudo e Mazzini. È giusto infliggere la condanna a morte sportiva a tre persone che facevano quello che s'è poi scoperto facevano molti altri, che oggi circolano a testa alta, felici e vincenti?

Tutti colpevoli, nessun colpevole: il padre di questo scempio giuridico fu Bettino Craxi, quando, all'alba di Tangentopoli, col celebre discorso in Parlamento provò a smuovere le coscienze degli altri responsabili di partito. Che tacquero. E lui non trovò di meglio che scappare all'estero. Oggi qualcuno prova a riabilitarlo, ma soltanto per avere vantaggi di sponda.

Perché il tema continua a riproporsi: l'Italia è piena di bordelli e, ogni tanto, qualcuno viene beccato dalla Buoncostume. Allora, prova a salvarsi dicendo che così fan tutti.

Non so, sarà che lo faran pure tutti, ma non io, però 'sta cosa che se tutti infrangono la legge allora non deve pagare nessuno a me fa girare gli zebedei a elica. Se ogni tanto provassimo ad applicare l'antica norma che se uno infrange la legge paga, indipendentemente da quello che gli succede attorno, è tanto rivoluzionario?

Poi, certo, tecnicamente Moggi e Giraudo sono stati incastrati senza uno straccio di prova vera, da tribunale serio. Ma altrettanto possiamo dire, tanto per fare nomi, dell'amministratore delegato del Milan che cenava di nascosto con Collina o dei massimi dirigenti interisti che promettevano un posto in banca all'arbitro Nucini. Per tacere degli attuali presidenti di Lazio e Fiorentina.

E, allora, perché i primi sono stati condannati a morte (sportiva) e gli altri no? Questo qualcuno, lì nel bordello, dovrebbe spiegarcelo. Così potremmo grattarci la rogna consapevolmente. Chissà, magari pure abituandoci ad auspicare un rivoluzionario: tutti colpevoli, tutti puniti.

martedì 14 giugno 2011

Mondo, alza la sedia e spaccala sulla testa del bastardo


Il Mondo quando parla devi interpretarlo. Poi, quando entri in sintonia con le sue perifrasi e le sue ridondanze, scopri che la sua bocca è sempre connessa al cervello e al cuore. Insomma, dice sempre quel che pensa. Non se ne trovano facilmente tipi così e, di sicuro, mai abbastanza, in una società dove l'apparire conta al punto da essere continuamente tentati a essere ciò che non si è.

Lui si definisce un allenatore pane e salame e ieri, festeggiando in conferenza stampa una salvezza che profuma di trionfo, ha accantonato l'insaccato e ha parlato pane al pane: “ho il cancro”.

Un bastardissimo, maledettissimo avversario che l'ha azzannato allo stomaco e che, dopo l'operazione di qualche mese fa che sembrava averlo sedato, ha rialzato la testa. Rieccolo, il bastardo.

Credo che la testimonianza di Emiliano sia importante anche per tutti quelli che stanno giocando la stessa partita, magari con pudore e senza il coraggio di dichiararlo. Chissà perché ancora oggi il “male incurabile” è vissuto come una colpa e non come una disgrazia da affrontare tutti insieme.

Il Mondo l'ha fatto a telecamere accese e non ha nascosto le lacrime. Non tradisce mai il, il Mondo.

Forza, Emiliano, alza la sedia e spaccala in testa al bastardo. Poi vieni in studio, che c'è da parlare di calciomercato.