domenica 23 dicembre 2012

Titolo: "La Juve di Conte"

Cari bambini, durante le vacanze di Natale, studiate a memoria la formazione di questa Juve del 2012, perché vi ritroverete a ripeterla per molto, molto tempo. Rimarrà scolpita come una delle più belle, delle più forti, delle più emozionanti della vostra vita. E quando, fra qualche decennio, vi chiederanno quale sia la squadra che portate scolpita nel cuore, vi troverete a recitare in automatico la Juve di Conte.

Questa è già una grande novità. Noi âgée abbiamo la Juve di Platini, qualcuno con le tempie ancora più imbiancate quella di Sivori. O più di recente quella di Vialli, di qualche fase di Del Piero. I rossoneri hanno quella del trio olandese, i nerazzurri recitano Sarti, Burgnich, Facchetti. Del Napoli, manco a dirlo, si glorifica l’era Maradona.
Di solito si celebra il campione, l’uomo che in campo accende cuori e fantasie. Questa Juve no, è indiscutibilmente la squadra del suo condottiero in panchina. Poi, certo, ci sono i vari Buffon, Pirlo, Chiellini, Marchisio, Vucinic. Ma questa è la squadra a cui possono essere orgogliosi di appartenere, ma non è la “loro” squadra. Questa è la Juve di Conte.
Un uomo che ricorderà l’anno potenzialmente più maledetto dal punto personale come l’attuale apice di una carriera, che è facile prevedere ancora lunghissima e zeppa di soddisfazioni. Un anno solare che ha riportato la Juventus al ruolo che le compete in italia e in Europa, a colpi di vittorie e record. Un anno a cui di più, francamente, non si poteva chiedere.
Quindi, bambini, studiate e ripetete a memoria la formazione, vi servirà. Ma non dimenticate il titolo di questa dolce poesia: “La Juve di Conte”.
In attesa, naturalmente, del 2013, dove si farà un altro passo verso quella quota che ci permetterà di incidere la terza stella non solo sul campo, ma anche sulla corteccia d’Abete.
Buone Feste a tutti, bianconeri e non.

martedì 11 dicembre 2012

Scordati il passato, Mister, che c'è ancora da lavorare

Il prode Leo Bonucci cade sotto i colpi di un cecchino appostato fuori dello stadio Renzo Barbera
Ricomincia la storia esattamente da come era iniziata: da un gol di Lichtsteiner. Come l'11 settembre 2011 è stato lo svizzero a segnare il primo gol in stagione. Quella di Antonio Conte, s'intende, il nostro “quasi” Special One.

Molte ironie si stanno sprecando su questa affermazione del Mister bianconero, che evidentemente non riesce a essere capito da tutti. Da noi sì. Come ha gestito l’iniqua squalifica è stato oggettivamente speciale. Il consiglio, tuttavia, è di gettare alle spalle il passato ora che ha ritrovato la Juve vincente quasi come l’aveva lasciata. Ha perduto l’imbattibilità (e proprio contro le milanesi), ma è ancora saldamente in testa ed è negli ottavi di finale.

Insomma, chiuso nel suo silenzio, non ha dovuto neppure rispondere al cantilenante quesito: “Come gestirà il doppio impegno campionato coppa?”. Risposta, come sempre, data sul campo.

Tuttavia da Palermo (dove gioca una delle tre squadre più scarse del campionato) si torna con il rinnovato senso di incompiutezza che dà il creare una valanga di occasioni per concretarne una sola, lasciando in bilico un risultato che andava chiuso e strachiuso molto prima. Invece s’è preferito prendere a pallonate Ujkani, il secondo tramortito davanti alla porta palermitana, oltre a Bonucci, colto da spettacolari vertigini date dall’essere solo nell’area diversa dalla propria. Uno svenimento con ampi tocchi d’artistico, quasi marinettiani.

Se si dovesse ripetere il refrain dello scorso anno, quando per segnarne uno dovevamo crearne dieci, stavolta si rischia di più, perché la gestione delle energie è davvero esiziale. E lo sarà assai di più da febbraio, quando la Champions entra nel vivo e non è più concesso nulla. Mettersi presto al ripario da sorprese contro le più abbordabili (vogliamo usare la giusta definizione? Scarse) del campionato sarà fondamentale anche per la coppa.

Conte ha quasi tre mesi per lavorarci. Marotta molti di meno.  

mercoledì 5 dicembre 2012

Grazie, ragazzi. Ora siete grandi davvero



Il Chelsea campione d'Europa, e potenziale prossimo campione del mondo, sta dietro e non per differenza reti, ma perché la Juve ha vinto con tutti e perso con nessuno, in uno dei gironi più difficili del torneo.

E Antonio Conte (quanto ci è mancato!) ritrova i suoi campioni in testa al campionato e agli ottavi di finale di Champions, qualificati da primi. La sua squalifica può già dimenticarla. Ma l'impresa di Donetsk manifesta comunque forte la sua impronta. Una squadra che ha come obiettivo di classifica il non prenderle e tuttavia fa la partita, senza sosta, è una grande squadra.

La dimensione mentale della Juve è alla pari delle grandi del continente. I dubbi di settembre in tre mesi sono stati fugati. Se da Copenaghen si era tornati con qualche tarlo, dall'Ucraina si torna con la consapevolezza che questa Juve, che ha ancora margini di crescita, può vincere contro chiunque. E spalanca un altro interrogativo: dove può arrivare?

Una vittoria che fa bene anche all'onore, troppo presto messo in dubbio da gufi e malpensanti. Che se il biscotto lo fanno gli scandinavi son pacche sulle spalle e risolini, se lo fanno i latini son farabutti. Se lo fa la Juventus si scatena l'inferno. Ma la Juventus non lo fa: gioca per vincere dal primo all'ultimo minuto contro uno Shakhtar che mai era sembrato così normale. (E invece è una grande squadra, lo sappiamo tutti, anche se a primavera si squaglierà al sole del mercato di gennaio e dopo una sosta oltremodo lunga: beato chi lo sorteggerà).

Non è serata da pagelle. Meritano tutti applausi per una vittoria molto corale. E qui dovrebbe tornare il nome di Conte. Che, finalmente, torna anche in panchina. Grazie, ragazzi, ma è l'ultima volta che vi chiamo così: ora siete diventati grandi. Uomini veri.

lunedì 26 novembre 2012

Al Meazza non si può salvare nulla


Una sconfitta talmente meritata che non fa neppure male. Per decretarla ci voleva la peggior Juve dell'era Conte e il miglior Milan dell'anno. Ora al management in panchina tocca una seria analisi della situazione e molta analisi di coscienza.

Lo scorso anno, nonostante alcune fasi di pareggite, negli scontri diretti si vinceva sempre. Quest'anno con le milanesi, Lazio e Fiorentina abbiamo racimolato la miseria di due punti. Che cosa sta succedendo? Le coppe, si dirà. Il che ha un suo fondamento, visto che nell'intorno delle partite di Champions la Juve ha quasi sempre faticato: a Genova prima dell'andata col Chelsea, a Catania dopo la trasferta danese, con l'Inter prima del ritorno col Nordjelland e ieri dopo il trionfo coi Blues. Due sconfitte e due vittorie molto dure contro squadre abbordabilissime. Perciò occhio al derby, quattro gioirni prima della decisiva trasferta ucraina.

Ma bastano queste coincidenze per spiegare la pessima figura di San Siro? Sinceramente, e purtroppo, penso di no. Innanzi tutto, serve un bagno di umiltà. Quest'anno non s'è vinto ancora nulla, ma stiamo già volando troppo alto. L'assenza di Conte, quello che ha passato tutta la stagione scorsa a ricordare da dove si arrivava, si sente eccome.

Come si sente in panchina. Al Meazza Alessio sembrava una statua di sale. L'unico di 14 milioni di juventini che avrebbero mangiato la faccia a Isla e Vidal. Due che non avrebbero dovuto arrivare alla mezzora. Soprattutto il primo, visto che in panchina c'erano Pepe, Giaccherini e Lichtsteiner.

Turnover è una parola da orticaria, ma se uno gioca al dieci per cento delle sue possibilità deve starsene in panchina. Senza contare che non è prescrizione di legge giocare con la difesa a tre. Se ti bucano sistematicamente sulla fascia destra, piazzi un tosto 4-4-2 (subito fuori Isla, dentro De Ceglie sulla sinistra e Caceres sulla destra) e vedi che di lì non passano più. E perché invece, in una partita così, è stato preferito Padoin, uno che fino ad allora aveva giocato 46 minuti in tutto?

Niente. Non si salva niente in questa uggiosa notte milanese. Speriamo solo che serva da lezione.

P.S.: Senza il rigore inventato la Juve non avrebbe mai perso. Ciò si può dire senza dover cambiare sfondo al cellulare.

mercoledì 21 novembre 2012

We are back!



We are back! La Juve è tornata anche in Europa. Il collega della BBC, dopo aver visto srotolare lo striscione della curva “Dopo l'Italia prediamoci l'Europa”, a fine partita ha ammesso di aver capito perché il popolo juventino è tanto fiducioso.

Il Chelsea campione continentale è stato messo sotto da tutti i punti di vista. Una superiorità vista in campionato tante volte, ma in Europa sono molti, moltissimi anni che non ricordo una Juve così. Per similitudine mi balza alla memoria la partita al Villa Park del 2 marzo 1983 contro l'Aston Villa detentore della Coppa dei Campioni (1-2, Paolo Rossi al 1' pt; Cowans (al 9', Boniek al 37' st). O l'indimenticabile Juve – Real del 14 maggio 2003 (3-1, Trézéguet al 12', Del Piero al 43' pt; Nedvěd al 28', Zidane al 44' st).

Non fate proporzioni ingenerose. Perché anche se a un certo punto quelli con la maglia blu sembravano il Chievo, in realtà erano i Campioni d'Europa, che fra qualche settimana andranno in Giappone a disputare il Mondiale per club. Certo mancavano Lampard e John Terry e l'estate gli ha portato via Didier Drogba, ma il peso specifico rimane lo stesso: troppa Juve, quasi niente Blues.

Quanta fame, in campo. Bulimia. Lichtsteiner, Vicinic e Qugliarella che si mandano in continuazione a quel paese durante una partita perfetta è lo specchio di una squadra incapac di accontentarsi. Di una squadra che può andar lontano davvero. Quanto? Chiederselo oggi è prematuro e persino controproducente. La qualificazione non è ancora matematica e fa bene Alessio a tenere tutti con i piedi per terra: perdendo a Donetsk si può addirittura finire in Europa League.

Inoltre, i giochi veri si fanno da febbraio in poi e, talvolta, essere troppo belli a novembre è un boomerang. Tuttavia ieri ho avuto la sensazione di assistere a un interruttore che veniva premuto, vedendo una squadra fare click nella testa. La splendida ragazza è diventata un'affascinante signora, consapevole e spavalda.

Inoltre, è stata buttata nel caminetto la carta della critica sul nostro attacco. A novembre, finora, Quagliarella e Giovinco hanno segnato 8 gol. Fabio ha timbrato il nono in 13 partite. Una media gol per minuti da top player. Basta farlo giocare.

P.S.: Menzione d'onore a Giorgio Chiellini, il migliore in campo, che attendeva questa serata dal 10 marzo 2009, quando proprio contro il Chelsea patì l'eliminazione e, soprattutto, l'espulsione per doppia ammonizione. Un senso di colpa che si portava dietro da tre anni e mezzo. E che oggi può dimenticare.

domenica 18 novembre 2012

Se



Se la quinta in classifica viene allo Stadium avendo come unica tattica il non superare la metà campo.

Se la seconda e la terza giocano dopo, sapendo che la prima ha pareggiato.

Se nonostante questo la seconda e la terza giocano in casa e non vincono.

Se dopo Juve-Lazio e Inter-Cagliari l'unico elemento di analisi è il rigore non dato a Ranocchia.

Se dopo aver ampiamente meritato di perdere l'Inter fa silenzio stampa.

Se dopo aver tirato ventun volte verso Marchetti torna il tema del top player in attacco.

Dopo questo e altro tanto vale concentrarsi fin da subito sul Chelsea.


domenica 11 novembre 2012

La coppia perfetta

Non male come risposta a chi si chiedeva come avrebbe reagito la Juve alla sconfitta con l'Inter. Dieci gol in due partite, anzi una e mezza, visto che a Pescara si è giocato per soli 45 minuti. Negli ultimi quindici anni soltanto l'Udinese era riuscita a segnare cinque gol nel primo tempo.

Dopo una tripletta e una prestazione col punto esclamativo ora Quagliarella scala le gerarchie dell'attacco. Che potesse essere lui l'uomo della svolta lo si era intuito anche prima della rottura del crociato del gennaio 2011. Da infortuni così si fa molta fatica a reagire. Ora che il tempo gli è complice, cominciamo a rivedere quel pazzo bomber capace di inventarsi rovesciate da copertina dell'album di figurine.

Tuttavia, Quagliarella è davvero genio e sregolatezza e, per una partita da tre gol e due assist, è capace di infilarne un paio da fantasma. Anche quest'anno, tanto per fare un esempio, dopo il gol al Chelsea e la doppietta al Chievo a Firenze e con il Napoli non s'è neanche visto.

Il suo tallone d'Achille è la continuità. Qualora dovesse trovarla, Marotta e Paratici potrebbero infilarsi sotto il piumone e svegliarsi tranquilli a fine stagione.

Non si può neanche dire che il suo rendimento cambi al cambiare socio in attacco, perché se ieri ne ha fatti tre con Giovinco (più quello di Seba, quattro), due ne ha fatti con Vucinic al Chievo, mentre in coppia con Seba hanno rimediato la magra figura di Firenze e con il Napoli. Ecco, forse varrebbe la pena vederlo più spesso con Mirko per capire l'effetto che fa. Magari contro squadre più probanti del Pescara, il più serio candidato alla B di questo campionato.

Matri, intanto, merita di ricostruirsi mentalmente, anche se ho la viva paura che ormai la stabilità psicologica del giocatore sia compromessa. Non a caso le voci su una prossima cessione a gennaio mi paiono sempre più attendibili. Personalmente mi dispiace molto. E Bendtner? Lasciamo perdere, va' là.

giovedì 8 novembre 2012

Il gol di Moses? meglio così


Ieri notte mi sono ritrovato in ascensore con un Chiellini raggiante: «Ci bastano quattro punti in due partite». Bravo, Chiello, chi se ne frega del gol di Moses. La Juve non deve guardare in casa altrui. Allo Stadium si scende in campo per vincere, sempre e comunque. D'altra parte, lo scoglio serio non sono i campioni d'Europa, che non potranno fare conto sempre sulla ormai proverbiale fortuna di Di Matteo.

Personalmente, mi fa più paura la tana di Donetsk. Più facile fare i tre punti coi Blues, che il pareggio in ucraina. Tuttavia, quel pareggio acciuffato dal Chelsea ci sbatte in faccia le nostre responsabilità, e non lo vivo come un male.

La Juve deve tornare a pensare in grande. Chi pensa in piccolo muore ancora più piccolo. Fare conti e conticini, sperando in una vittoria dello Shakthar a Stamford Bridge, era già a votarsi a una promozione da secondi. Ma poi agli ottavi? Sarebbe stato votarsi a un sorteggio potenzialmente mortale. Bene, perciò avere in mano il destino del primo posto. Ora ce la giochiamo in prima persona, senza dover puntare il satellite verso campi stranieri.

Certo, aver visto di che pasta sono davvero questi danesoni acuisce il rimorso per la partita di Copenaghen. Ma lasciamo stare e guardiamo avanti, come hanno saputo fare i bianconeri dopo la sconfitta con l'Inter. Il bicchiere europeo non è mezzo pieno: è colmo.

domenica 4 novembre 2012

Contro i raglianti il Creatore inventò il calcio

 
Il Creatore (qualsiasi sia il credo o la religione), nell'alto dei suoi pensieri, deve aver a lungo progettato un metodo per mondare o almeno arginare il male terreno. Poi, finalmente, ha trovato il calcio dove gli animi più abbietti hanno potuto trovare soddisfazione.

Io sono grato a questo pensiero. Ieri leggendo gli insulti che mi sono stati vomitati addosso via Twitter (@simonestenti) durante e soprattutto dopo la partita da pensatori raglianti ho provato riconoscenza per quel raffinato progetto divino. Perché contenuti, grammatica e toni, in ben altri contesti, sono da violenze razziali, guerre tribali, conflitti di religione. Kapo fieri della loro missione.

Non c'è dialogo, non c'è confronto, solo l'annientamento dell'avversario. La leale ammissione della legittimità della vittoria altrui viene interpretata come momento di debolezza su cui infierire. Sangue per lo squalo che segue solo l'istinto, quello sì, di sopravvivenza.

Verificando tanta piccineria umana ho sentito colmo il cuore di gratitudine per un veicolo così innocuo come il calcio. Tutta quell'incapacità di ragionare, di argomentare, di trattare è un bene che sia tenuta sotto controllo e ogni insulto che mi prendo è una miccia disinnescata. Pensate alla supremazia della specie calcistica, orchi della grammatica nascosti dietro un nickname, perché guai se cominciate a capire che i bersagli di una vita vuota possono essere altrove, senza magliette a strisce o fischietti in bocca.

E ora sfogatevi, vi regalo un assist: l'Inter ha meritato di vincere.

venerdì 2 novembre 2012

Grazie a Pogba, Pirlo fantasista

E così, dopo il Napoli, ci ritroviamo a giocare un altro big match. Stavolta con l'Inter. È il segno che dietro c'è un turbine e l'unico punto fermo è la Juve. Che, tra l'altro, sta tenendo un ritmo che mai nessuno nella storia ha mai tenuto: 28 punti su 30.

La Juventus porta così a 49 le giornate utili consecutive in campionato (-9 dal record storico del Milan di Capello dei primi anni novanta), ha il miglior attacco del torneo (22 gol segnati, come la Roma), la miglior difesa (5 reti al passivo), ha mandato in gol 12 giocatori finora in dieci turni di campionato.

Tuttavia qualcuno scrive e dice che allo scontro diretto l'Inter arriva più in forma. Da dopo l'asfaltata alla Roma io stesso sostengo che la Juve stia vivendo un periodo di appannamento (il che è paradossale: superare una crisetta fisiologica a punteggio pieno è il quadro di una forza impressionante; dove può arrivare quando la supererà?). Ciò detto seguo l'Inter con l'attenzione imposta a un milanese e non ho ancora capito quale gioco le stia regalando la conduzione Stramaccioni.

È una squadra quadrata, che subisce poco, soprattutto fuori casa dove ha una striscia interessante di otto successi consecutivi, considerando anche l'Europa League. E lontano da San Siro in campionato hanno subito un solo gol, a Bologna. Però quando deve fare gioco fatica, spesso va sotto e, come insegnano Roma e Siena, perde pure male.

Conte e il suo team devono perciò evitare di far fare all'Inter quello che le riesce meglio: mollare il pallino all'avversario e ripartire in contropiede. Non sarà facile, perché la Juve ha l'aggresione nel Dna, ma guai a lasciare a Milito e, soprattutto, a Palacio gli spazi in cui amano sguazzare.

Se tutto andrà come deve (e come credo) sabato sera il solco sulla seconda potrebbe essere un cratere lunare. Abbiamo in mano il set-ball (non dico il match-ball solo perché non siamo nemmeno a un terzo del campionato): non sprecarlo vorrebbe dire dare una gran mazzata psicologica a tutto il campionato.

Capitolo a parte merita un discorso su Pogba. Finalmente il mondo calcistico italiano ha scoperto di che pasta è fatto e ora sarà dura (e masochistico) lasciarlo in panchina. Col Bologna per qualche minuto abbiamo visto un inedito 3-4-1-2. Un ritorno al trequartista dove però si è ritrovato Giaccherini.

Se al posto suo ci andasse Pirlo potremmo tornare a parlare di fantasista. Solo un sogno? Forse. Ma un centrocampo formato da Vidal, Marchisio, Pogba e davanti Pirlo mi fa innamorare.

domenica 28 ottobre 2012

Non è il danese la soluzione

Il gol del Catania era regolare, quello della Juve si poteva annullare per fuorigioco di Bendtner. Catania – Juve è tutta qui. Il resto è una squadra bianconera in evidente involuzione. Una crisetta, o una crisi tutta intera, è inevitabile in un campionato e la Juve la sta attraversando a punteggio pieno.

Il dato vero di questa nona giornata è questo: Gervasoni permettendo, la Juve non perde il passo neppure giocando al 50 per cento delle sue possibilità. In Italia il nostro livello è troppo superiore.

Qualche sprazzo di ottimismo l'abbiamo pur visto: Vidal è tornato a livelli accettabili, Pogba non ha fatto rimpiangere troppo Marchisio, la difesa c'è, Pirlo è Pirlo.

Tuttavia sono di più gli aspetti preoccupanti. Il ritmo della manovra è quello dei tempi peggiori, la partita non è stata chiusa neppure in superiorità numerica, l'attacco continua a essere una lagna. Vincere un campionato coi gol del centrocampo è dura, vincerne due è quasi impossibile, far bella figura in Champions è una chimera.

Nella trottola delle convocazioni oggi è toccato finalmente a Bendtner, che ha spiegato con parole semplici perché finora Conte e Alessio non facessero giocare: lento e quasi bolso, ruvido di piede e apparentemente spaesato. Non sarà lui a risolvere i problemo di reparto, purtroppo. E, se è questa la sua forma ottimale, lo vedremo ben poco da qui a gennaio, quando c'è da augurarsi l'arrivo di uno vero.

Finora ci siamo potuti accontentare di Vidal capocannoniere (tra campionato e coppa: 5), ma quando si farà sul serio servirà ben altro. Marotta e Paratici sono al lavoro.

domenica 21 ottobre 2012

E non era neanche vera Juve

Come qui si scriveva lo scorso 9 settembre: “se la qualità del campionato si cristallizzasse in quanto visto in questa seconda giornata sarebbe dura non ripetere l'exploit della scorsa stagione da imbattuti”. Non è elegante citarsi, ma è un espediente per dimostrare quanto sia poco sorprendente la situazione attuale, dove in otto partite se ne sono vinte sette, col maggior numero di gol fatti (19, quasi 2,5 a partita) e il minore di subiti (solo 4).

L'atteggiamento del Napoli è stato perfettamente allineato a quest'ordine di cose. Fosse sceso allo Stadium con la maglietta gialla avremmo pensato di rivedere la partita col Chievo: stesso atteggiamento tattico, stessa paura dell'avversario, stesso desiderio di tirare a campare verso un immeritato zero a zero.

Un piano che ha avuto senso per 80 minuti poi s'è squagliato come neve al sole, grazie ai colpi di due ragazzi appena alzati dalla panchina. (Avviso per Marotta: Pogba è un predestinato, ma è anche della scuderia di Raiola. Blindatelo!)

E dire che questa Juve non ha niente di luccicante e strabiliante. Anzi, in molti elementi (Vidal, Lichtsteiner e gli attaccanti, qualsiasi essi siano) si vede parecchia ruggine. Eppure basta e avanza per avere la meglio su un campionato obiettivamente troppo piccolo per lei. L'anno scorso doveva dare il 101 per cento tutte le partite. Quest'anno non arriva al 70 e vince sempre. È un segnale di grande forza morale, oltre che di una rosa che fa alzare dalla panchina i match winner dello scontro diretto.

L'unica vera incognita è capire come reggerà l'urto psicologico della Champions quando i giochi si faranno seri. Ma se non ci saranno imprevisti testacoda (e sinceramente, vista l'attuale maturità, non credo), questa è una squadra che può ammazzare il campionato in gran scioltezza. Dipende solo da lei è una frase fatta, ma non è mai stata tanto attuale.

martedì 9 ottobre 2012

Il pelo nell'uovo della Juve a Siena

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Genoa, Fiorentina, Shakthar e Siena. Se ci si soffermasse soltanto su queste quattro partite si scoprirebbe una Juve molto meno schiacciasassi di quanto le 45 46 partite da Invincibili raccontano. Vero è che l'anno scorso una partita come quella di Siena non si sarebbe mai vinta e altrettanto vero è che è dura criticare una squadra che ha raccolto 19 punti su 21 (con un formidabile più 6 rispetto al campionato precedente). Tuttavia non eravamo abituati ad assistere alle scorribande viste nell'area bianconera contro Ucraini e Calaiò e Rosina vari.

Qualcosa non torna. E non mi sembra che il calendario a tappe forzate di tre giorni possa essere la risposta. Il turnover è stato gestito correttamente, ma gli scricchiolii sono proprio di manovra. Pur più maturi e riflessivi (lo scorso anno andavano spesso in apnea agonistica per la voglia di strafare), i bianconeri si espongono troppo al contropiede. Da una parte, gli avversari in Italia e in Europa hanno capito che la prima cosa da fare è soffocare il gioco di Pirlo. L'unico che non l'ha fatto quest'anno è stato Zeman e ne è uscito con tutte le ossa rotte. Dall'altra la difesa tende ad alzarsi troppo, lasciando costantemente cinquanta metri di campo libero.

Carrera (e Conte) sono correttamente intervenuti in corsa, cambiando l'ormai consueto 3-5-2 in un 4-3-3 che può rappresentare un'interessante variante. Ora forse è il caso anche di valutare uno spostamento di Pirlo più a ridosso delle punte, lasciando a Marrone o Pogba l'avvio iniziale della manovra. Questo per disorientare le marcature e aprire spazio tra le linee.

Certo però che il dato più impressionante è la consueta discontinuità dell'attacco. Proprio non si riesce a trovare la quadra di un reparto che sembra un motore che va a tre pistoni. Giovinco, che pure non s'è mosso male a Siena, pare ormai il re dei gol a risultato acquisito. Mentre serve chi sia capace di spaccare le partite rognose, quelle incanalate sul pareggio. Perché non si può sempre sperare che ci pensi il centrocampo (nel quale, tra l'altro Vidal dà evidenti segni di logorio). Il danese Bendtner intanto fa lo spettatore non pagante. I casi sono due: o è arrivato in una forma fisica deprimemente o a Vinovo ci si è accorrti subito di aver sbagliato investimento. O, più banalmente, la risposta sta nel giusto mezzo.

lunedì 1 ottobre 2012

Tutto il sudore di Zeman

Fino alla calata della sgangherata banda Zeman la squadra più brutta mai apparsa allo Stadium era la Roma di Luis Enrique. Quella che se ne tornò a Roma con quattro gol sul groppone e la consapevolezza che il tanto strombazzato progetto romano del profeta Baldini era al capolinea.

Era difficile quel 22 aprile prevedere che in soli cinque mesi avremmo assistito a uno spettacolo ancora più imbarazzante. I giallorossi si sono superati in modo sbalorditivo, presentandosi in casa della prima della classe vestiti di stracci. Roba da vergognarsi: quando la Juve sfida la rappresentativa della Val d'Aosta a fine luglio, trova gente che sa cosa fare molto meglio di Totti, De Rossi e compagnia piangente.

Fatti un nome e se ti fai la pipì a letto tutti diranno che hai sudato, dice un proverbio illuminante. Se Luis Enrique avesse fatto una figura così a Torino a settembre invece che ad aprile, a Caselle avrebbero dirottato il volo per Roma e si sarebbe ritrovato direttamente a Barcellona. Invece, Zdenek Zeman, il guru della panchina, ha solo sudato copiosamente. Probabilmente il microclima dello Stadium deve avere connotazioni amazzoniche.

Difficile, pertanto, giudicare la partita della Juve. Così, superficialmente, sembra un'interpretazione spaziale, ma è molto probabile che se mettete sul ring il miglior Cassius Clay col sottoscritto anche lui farebbe una gran figura. Peraltro la velocità con cui mi metterebbe k.o. sarebbe superiore a quella che ci ha messo la Juve per dimostrare che se un tecnico fa crescere bene i giovani ma è incapace di far giocare quelli già formati è meglio se allena una Primavera.

Su una palla al centro a favore della Roma, ho visto sette (sette!) giallorossi in fila sulla linea di centrocampo e tre sulla linea del cerchio. Da lì a Stekelemburg 40 metri di vuoto. Incommentabile. Come lo è l'azione del quarto gol della Juve. Sombrero di Barzagli a Taddei: trenta metri di deserto. Palla a Giovinco, da solo, altri 20 metri di deserto. Quando al campetto del martedì dove gioco con gli amici, notiamo un divario simile rifacciamo la conta e riequilibriamo le squadre. Sennò non ci si diverte.

Alla vigilia Zeman aveva chiesto di evitare 90 minuti d'insulti. Lo Stadium l'ha accolto giusto con un paio di cori standard. A insultarsi ci aveva già pensato da sé. Inutile infierire, noi al ventesimo della partita con la Roma eravamo già alla vigilia dello Shakthar.

mercoledì 26 settembre 2012

Il caso Giovinco


In barriera vanno Giovinco e Giaccherini ed è come non averli. Ci si chiede se, nel XXI secolo, una squadra di alto livello può schierare contemporaneamente due giocatori di quella statura. Lo sport professionistico, al di là delle suggestioni e delle belle favole, è fatto di tecnica ma inevitabilmente anche di fisico. Questo accade in tutti gli sport professionistici, il calcio non può fare eccezione.

S'aggiunga che a Giovinco è stato ormai affidato un ruolo contronatura di prima punta, che non si concilia col fatto che basta toccarlo per stenderlo. Bisognerà riportarlo sull'esterno e vedere se saprà convincere più come vice Vucinic, anche se con in campo Quagliarella era proprio quello che doveva fare ma la sua presenza non è stata rilevata.

Tuttavia la maggior urgenza è ricostruirlo mentalmente. Seba sente l'insoddisfazione del pubblico, figlia probabilmente anche dell'incongrua valutazione (11 milioni per la metà) che ha accompagnato il suo rientro alla Juve. Non c'è dubbio che ora il compito di Conte e Carrera sia tutelarlo, se davvero si pensa di puntare su un giocatore che, sempre sul crinale dello sbocciare, è già arrivato a 25 anni. Questa è la stagione del dentro o fuori. Quanto meno per motivi di bilancio, sarebbe bene non svalutarlo.

Una delle regole principali è lasciargli il ruolo per cui è più vocato (partire largo per poi accentrarsi in velocità) e schierarlo, almeno inizialmente, nelle partite a lui più consone. Non cioé come quella del Franchi.

Poi, naturalmente, rimane aperta la questione: Giovinco dà il meglio contro le difese aperte, ma quando mai la Juventus ne incontrerà una? Ma almeno questa non è una domanda che dobbiamo rivolgere a lui.

domenica 23 settembre 2012

Questa Juve è come Zanardi


Per questo campionato la Juve sembra davvero troppo forte. Finirà come con Zanardi alla Maratona di New York: ci faranno fuori perché corriamo troppo veloci.

Gli altri sono allo sbando, ma i bianconeri sono addirittura migliori rispetto alla scorsa stagione. Certamente migliori nei singoli, perché se cambi De Ceglie con Asamoah il tasso si alza in automatico. Ma la vera crescita è mentale. Lo scorso anno, proprio in questo stesso periodo, avevamo scoperto il furore bianconero in dieci contro gli undici del Bologna. Finì in pareggio, ma quel  furore divenne la cifra stilistica della prima Juve di Conte. Una voglia di gol che molte volte però ci faceva diventare frenetici e ci spingeva verso la patologia del pareggismo.

Col Chievo abbiamo visto una Juve perfettamente consapevole, che pur tardando a trovare la via del gol (Sorrentino davvero granata dentro: allo Stadium si trasforma in Superman) non è andata in ansia. Un atteggiamento che riverberava sugli spalti: è stata un’attesa corale del gol. Allenatori, giocatori, pubblico: credo che nessuno abbia temuto di finire 0-0. Solo una questione di tempo.

Si è anche aperta una nuova era: quella della Juve di Conte 2.0. Sfruttando il non gradito vantaggio di avere una sola competizione, la scorsa stagione aveva imposto una squadra con undici titolari. Una formazione da snocciolare a memoria come negli anni Ottanta. Oggi si entra nell’era del turnover. Ovvero dei 16 o 17 titolari. Il segnale più forte arriva dal fatto che nessuno ha rimpianto Pirlo. Un’eventualità che pareva impossibile soltanto tre mesi fa.

La crescita dei bianconeri è costante e inarrestabile. Vediamo quanto dura. Poi, se vogliamo, soffermiamoci pure sulle pagliuzze (un Isla ghiacciato dal debutto allo Stadium e Pogba timidino nel primo tempo), ma nel frattempo, anche se è solo statistica, guardiamo anche le travi negli spogliatoi altrui: non è male vedere le milanesi perdere contro due squadre a strisce bianconere.

lunedì 17 settembre 2012

Su Marassi l'ombra di Stamford Bridge


Stamford Bridge è dietro l’angolo e ha allungato la sua lunga ombra su Marassi. Già dalle scelte iniziali, ma probabilmente anche per tutto il primo tempo e molti sprazzi del secondo. Ci sono vittorie che lasciano uno strano retrogusto in bocca. Valgono di più i venti minuti di strapotere (coincisi, nota bene, con gli ingressi di Vucinic e Asamoah) o settanta di grigia normalità?

Se tra i migliori in campo, se non il migliore in assoluto, c’è il portiere, la sua difesa non fa una bella figura. E SuperGigi oggi è stato decisivo. La sua parata sul gol già fatto di Bertolacci, quindici secondi prima del pareggio di Giaccherini, equivale a spostare la lancetta del barometro da tempesta a estate piena.

Nove punti in tre partite con due trasferte e una striscia d’imbattibilità che arriva a 42 non è statistica, è storia. Tuttavia i dubbi lasciati sono molti più dei gol segnati al Genoa. La fame che ci ha reso grandi lo scorso anno c’è ancora? Pirlo ha bisogno di riposo o sono gli avversari ad aver capito troppo? Il turn over spinto ci è concesso o dobbiamo dosare i cambi per non scendere troppo di livello? Come mai si arriva tanto facilmente a tu per tu con Buffon? Giovinco ha le qualità per diventare decisivo anche nelle partite dove si soffre? Vidal è sostituibile?

Forse però la domanda vera, che a suo modo potrebbe rispondere a tutte le precedenti è: quanto abbiamo sentito la vigilia della trasferta di Londra? Attendiamo qualche giorno e capiremo molto di più di questa nuova Juve.

giovedì 6 settembre 2012

L'etica si prescrive anche per Tavaroli?


L'etica non si prescrive, blaterava Abete lo scorso luglio, allorché il Palazzi, sostenendo che l'Inter sarebbe stato perseguibile ex fantasmagorici articoli 1 e 6 del codice sportivo, sottolineava che comunque ci si poteva mettere l'animo in pace perché era acqua passata.

Ieri Tavaroli, ex capo della security Telecom, sollecitato dai due benedetti paraculi de La zanzara su Radio24, Giuseppe Cruciani e David Parenzo, ha ammesso: «Su Moggi non esisteva un dossier, ma ci fu la richiesta di verificare alcune informazioni date all’Inter da un arbitro su presunti comportamenti di Moggi. Moratti mi disse: abbiamo ricevuto queste informazioni, vogliamo vedere se sono credibili. Parte degli accertamenti vennero svolti con attività illecite».

Quando Moggi parlava di spionaggio industriale si sogghignava e ci si regalava facezie sulle sim svizzere e dell'Est. Ora sappiamo da un tribunale della Repubblica italiana che la Telecom spiava Vieri e, da questa gravissima dichiarazione, pure il direttore generale della Juventus, una concorrente diretta non in classifica (l'Inter viaggiava a 30 punti di distacco), ma sul mercato. Perché tra Società per azioni non si parla più di scudetti di cartone o meno: si parla di spionaggio industriale e/o societario. E il codice coinvolto non è più quello sportivo, ma quello penale.

Postilla.
Articolo 621 cod. pen.. Rivelazione del contenuto di documenti segreti. Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
Agli effetti della disposizione di cui al primo comma è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi (1).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
(1) Comma aggiunto dall’Articolo 7, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

lunedì 3 settembre 2012

Avversari non rinvenuti

Senza sbruffoneria, se la qualità del campionato si cristallizzasse in quanto visto in questa seconda giornata sarebbe dura non ripetere l'exploit della scorsa stagione da imbattuti. Con in più l'inattesa novità di vederci assegnare i rigori, persino quelli che fanno discutere (però soltanto l'espulsione di Brkic, perché il fallo era solare).

L'Inter che qualcuno aveva accreditato come rivale non ha capo né coda. Non so se Stramaccioni abbia la possibilità di raddrizzare la barca, ma con la Roma ha mostrato limiti imbarazzanti. E, d'altronde, se tocca far giocare titolare un quarantenne significa che i conti non tornano. Guarin, Pereira e Gargano: il centrocampo è nuovo di pacca, ma per quello che hanno fatto vedere (e per quanto ne conosciamo) in tre non ne fanno uno dell'Inter del Triplete.

Il Milan ha vinto, ma senza la superpapera di Agliardi sarebbe ancora lì a cercare il secondo gol. Francamente, mi pare che il lavoro di Allegri sia ancora più in salita di quello di Strama, con l'ulteriore aggravante di essere stato zavorrato dalla augusta richiesta di scudetto. Ambrosini, uno dei pochi che ha carisma e coraggio di parlare, l'ha detto a chiare lettere: inutile far finta che tutto va ben, madama la marchesa. Bisogna pedalare e pure un bel po' per arrivare al livello della Juve. La pochezza di gioco offerta in due partite ne è la più valida riprova, e non è certo un De jong che può dare lustro alla manovra rossonera.

La Roma brilla di luce impropria: troppo piccola l'Inter per essere grande. Per ora si vede tanto entusiasmo, un Totti che di riflesso fa rimpiangere Del Piero, un Osvaldo che ne sbaglia tre, ma ne mette almeno una. Ma dietro, mamma mia! Non è questione di filosofia zemaniana, ma di qualità di uomini. Piris e Burdisso insieme te li puoi permettere solo se giochi contro una squadra senza attacco. Basta un catania e prendi due gol, fuorigioco o non fuorigioco.

Del Napoli apprezzo la coerenza. Il suo presidente De Laurentiis invoca un salto di qualità nell'offerta dello spettacolo calcio, per renderlo prodotto appetibile per l'estero, e con la Fiorentina organizza una partita di beach soccer. In Brasile sarà piaciuta. Per chi non sverna a Copacabana, invece, è l'impietosa fotografia dello stato comatoso in cui versa l'italico football.

(Tutti i giorni sono su: http://dieciscudetti.blogspot.com/)

giovedì 30 agosto 2012

Berbatov e gli errori di comunicazione (su A-Team per LaStampa.it)

Al netto di Esopo e della sua volpe alle prese con l'uva, l'unica considerazione da fare è che se uno è così poco professionale è bene che rimanga dove sta. Tuttavia qualche riflessione sul caso Berbatov va fatta, se non altro per inquadrare lo stato del calcio italiano, senz'altro al punto storicamente più basso da trent'anni a questa parte.

Una situazione triste che coinvolge una nazione calcistica con due sole squadre in Champions League e finisce con uno dei mercati più miseri che si ricordino. Operazioni in uscita al più e per il resto parametri zero, prestiti con clausole varie, ma tutte volte a pagare quando capita. Campioni? Zero. Quei pochi che costruiamo se ne vanno e quelli che restano campioni non sono.

Problemi che, per quanto dalla posizione privilegiata da campione d'Italia, coinvolgono eccome anche la Juve. La ricerca spasmodica e annunciata del famoso top player s'insegue ormai da anni. E, al di là di quelli definiti tali senza credenziali (leggi per tutti Diego), la lista delle vane voci è talmente lunga che m'imbarazza elencarla.

La domanda è: davvero Marotta e Paratici sono convinti che la Juve può essere appetibile per un top europeo o è solo propaganda mediatica? In entrambi i casi la risposta è desolante. Perché se lo pensano davvero significa che non hanno compreso lo stato dell'arte del sistema calcio (e, forse, almeno l'estate passata dal loro-nostro allenatore qualche campanello d'allarme avrebbe dovuto farglielo suonare). Se, invece, è stategia, consiglio loro di cambiare kingmaker perché rilanciare promesse e annunci sapendo di non essere in grado di mantenerli è del tutto controproducente.

I tifosi non sono bambini: basta spiegare che per qualche stagione non c'è trippa per gatti, magari illustrando una solida strategia di medio periodo, e quelli capiscono (e pazientano) facilmente. Promettendo senza mantenere invece s'arrabbiano. E non senza qualche giustificazione.

Quanto allo specifico della vicenda del bulgaro, s'è toccato il fondo strategico. Si è riusciti nel duplice risultato di far infuriare un'altra società, senza alcuna contropartita vantaggiosa. Anzi, con un riverbero internazionale davvero poco in linea con una rinnovata esigenza di grandezza. Perché poi, purtroppo, gli insuccessi in certi casi brillano di più dei successi. E un'estate lodevole dove ci si è assicurati un grande Asamoah, un ottimo Isla e una prospettiva come Pogba rischia di essere ricordata solo per il vano inseguimento ai vari Berbatov, Van Persie, Sanchez, Dzeko. Non è un peccato?

mercoledì 8 agosto 2012

martedì 7 agosto 2012

Io tifo per il papà di Schwazer

La vicenda di Schwazer mi pare troppo complessa per limitarla a un baro colto con le mani nel sacco. Ieri piangeva, dicendo che non aveva neppure il coraggio di farsi vedere dai suoi. Oggi piange suo padre, che si prende la colpa per non aver aiutato il figlio in difficoltà. In questa vicenda umana s'inserisce la macchina dello sport olimpico. A me personalmente viene da scindere l'atleta che va sonoramente punito, dal ragazzo in evidente confusione mentale, che invece va aiutato. Lo ammetto, mi sento molto vicino a papà Schwazer.

venerdì 3 agosto 2012

martedì 31 luglio 2012

Conte e i rischi della realpolitik


Patteggiamento è una parola che mi fa orrore. Brutta, cacofonica, alludente. E assai equivocata. Nel codice penale non è ammissione di colpa. E non lo è neppure in quel purulento meandro di cavilli che è la giustizia sportiva, istituzione degna del più spietato Torquemada.

Il patteggiamento non porta neppure a sentenza, perché, come dice la Cassazione "stante carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituisce nel giudizio ordinario la premessa necessaria per l'applicazione della pena". Ovvero, il giudice non viene neppure coinvolto: è un accordo tra accusa e imputato per uscire dal processo. Tanto meno, tanto meglio. Accade quando ci si ritrova davanti a un vicolo cieco come quello che impone una giustizia che si basa sulle dichiarazioni fumose di un testimone attendibile a intermittenza.

Come avrebbe fatto Conte a difendersi dalle accuse di Carobbio è imperscrutabile. Come si fa a confutare uno che è considerato inattendibile se accusa il presidente del Siena Mezzaroma e invece rimane attendibile se altri suoi 30 compagni lo smentiscono (e nel qual caso, non sarebbero reticenti pure loro)? Una melma giuridica da cui non si esce come non si esce dalle sabbie mobili. Così ha prevalso la realpolik: meglio pagare poco che rischiare molto. Conte ha fatto bene?

Ad Adriano Sofri, uomo che per idee e convinzioni mi è sideralmente lontano, riconosco coraggio e coerenza fuori del comune. Pur di non ammettere una colpa che non sentiva, ha preferito farsi quasi trent'anni di carcere e non chiedere la grazia al Presidente della Repubblica. Richiesta che sarebbe quasi certamente stata accettata, ma avrebbe sottinteso un'ammissione di colpa.

I due casi non sono neanche lontanamente accostabili, né per gravità né per tipo di istituti giuridici, ma purtroppo l'onda anti-juventina monta e, in qualche modo, li accomuna. Per il sentire comune Conte sta già diventando reo confesso. Che non è nulla di più falso, ma sappiamo dove può portare il sentimento popolare. Senza contare che per la Juventus questo è davvero un incidente di rimbalzo: si trova coinvolta suo malgrado, ma radio private e televisioni popolari già le sparano addosso a palle incatenate.

Somma ignoranza o deliberata scelta per orientare le viscere del popolo calciofilo? Conoscendo la statura di troppi colleghi scelgo la uno. Finché le redazioni sono costituite da stagisti, l'approfondimento è optional e Palazzi può continuare a cercare le luci dei riflettori per ingrassare un ego incompatibile col ruolo.

giovedì 26 luglio 2012

Oh, beato stupore!


Lo stupore è sempre un sentimento tenero. Lascia trasparire candore e assenza di malizia. Sicché stamattina mi sono sentito un po' più puro del solito, aprendo il pdf che conteneva il deferimento per omessa denuncia di Antonio Conte riferito alla sola Novara – Siena del 1° maggio 2011. Una sola partita, bene. Anche strano, ma bene.

Sul sito del giornale rosa che non parla d'economia invece già si scriveva che Conte era indagato anche per AlbinoLeffe-Siena del 29 maggio 2011. Oh bella, che cantonata, i gazzettieri. Si vede che erano rimasti colpiti da suggestione dopo aver ascoltato il loro vicedirettore inviato a palazzo da Palazzi dichiarare con un giorno d'anticipo a RadioRadio che il procuratore federale avrebbe calato la scure con deferimenti «pesantemente colpevolisti». Di solito, il vicedirettore prevede bene. Dev'essere arte medianica più che mediatica. Però stavolta, zac, buco!

Invece, passa qualche quarto d'ora e la Federazione si sente in obbligo di rettifica. Le partite che coinvolgono Conte sono proprio due. Si vede che nel frattempo qualcuno in via Allegri a Roma s'è connesso a Internet e s'è accorto che da via Solferino a Milano arrivavano indicazioni più precise. E s'è giustamente adeguato.

Per discutere dei modi e dei tempi di questa indagine c'è tempo. Non troppo, ma c'è. Ora preferisco assaporare questo leggero stato di ebbrezza regalatomi dal riscoprire il brivido dello stupore. Proprio quando ormai pensavo che nella vita, e tanto più nel calcio, nulla più sarebbe riuscito a sorprendermi davvero.

lunedì 16 luglio 2012

Guidolin for FourFourTwo England



Francesco Guidolin, you are one of the most famous Italian managers, but you are not so known abroad, despite of your recent experiences in Champions League and Europa League with Udinese. How would you present yourself to the English fans?
“I'm near to the 500th cap, 470 in the Serie A and 30 in Ligue 1 with Monaco, and I have the English football in my heart. My contract with Udinese will close in 2015, after that I dream to train an English club”.

Another candidate for the Ferguson's reign?
“Absolutely not. I love to start from the bottom, to help teams in difficulty. When I was young I used to follow Nottigham Forrest, Southampton, Leeds. Instead of Man Utd, Chelsea or Arsenal, I would prefer those kind of teams. The old faded nobles searching for a new life”.

Why did you have to wait your 56 to get a top trainer?
“I like to work hard, but I am not a image-maker. I prefer to go on the pitch than in Tv. Often the whole destiny is decided by single situations and I was very near to Juventus, Inter and Lazio in the past. Anyway, I used to think that a great trainer has not to be judged just by the roll of honor. Stanley Kubrick didn't win the Academy Award, but you can't say that he wasn't one of the greatest directors ever”.

Why Premier League is more appealing than Serie A? We used to be “The best tournaiment in the world”.

“I am a big fan of cyclism and it happened the same as between the France Tour and the Giro. In one word: planning. Now Tour is the most famous race in the world as the Premier League is the most appealing championship for the rest of the world.  In the late Nineties, Calcio was the best tournaiments but its rulers didn't understand that we needed new stadiums. It's partly a sport question than a more general way to think. Anyway, on the pitch I don't think that Premier is really better than Italian football”.

If you would be English, what would your team?
“I like Manchester United”.

But you have just said that you are not a ManU's bench candidate!
“Correct. I am just a fan. When I was child, there were not football on Tv, we read about the foreigner teams on the paper. Just few lines, but enough to fall in love with George Best. I like also Liverpool and I think that Arsenal is philosophically very close to my Udinese”.

ManU, Liverpool, Arsenal... Too much, mister Guidolin!

“Oh, don't misread me! As a professional trainer I dream a little, romantic team. Preferably in London. My son is studying there, so I have already the flat!”.

martedì 10 luglio 2012

Se tanto mi dà tanto



Ma chi sono questi ragazzotti che rappresentano le squadre milanesi? Dove sono finiti i campioni?

lunedì 2 luglio 2012

ItalRugby e Adidas. Finalmente ufficiale

La voce circolava da mesi, ma ora è ufficiale. Mi è appena arrivato il comunicato di Adidas che annuncia che l’accordo durerà fino al 2017 e prevede la produzione del pallone ufficiale da gara che verrà utilizzato anche nelle gare interne del 6 Nazioni.
Le nuove divise azzurre con le tre strisce saranno presentate a settembre e faranno il loro esordio in campo nei Cariparma Test Match di novembre.
Se c'è un commento da fare è che Adidas le maglie le sa fare (e non violenta i colori come è successo ai Pumas argentini).

Prandelli nuovo Valcareggi


Di 0-4 in una finale, qualsiasi essa sia, di Mondiale, Europeo o Champions la mia labile memoria non ne ricorda. Bisogna risalire al 1970, quando Pelé e il miglior Brasile di tutti i tempi ci schiantò 4-1 nella finale di Città del Messico. Infatti di quel torneo ricordiamo solo il celebre 4-3 alla Germania in semifinale.

Di Ferruccio Valcareggi, all'epoca sulla panchina, però tendiamo più a ricordare i tentennamenti, i sei minuti di Rivera, la staffetta con Mazzola figlia della paura. Cesare Prandelli rischia la stessa sorte. Un'umiliazione così feroce in finale può stendere un velo (per nulla pietoso) su tutto il torneo, che pure nel complesso ha del miracoloso.

Ma la gestione della finale da parte del c.t. è stata davvero disastrosa. Al di là dell'infortunio di Thiago Motta, un giocatore talmente logoro che rischiarlo come terzo cambio è già di per sé un errore imperdonabile.

L'impiego dello stesso Chiellini, che arrivava da un infortunio rattoppato al volo in prossimità del torneo, andava soppesato con maggior attenzione. Tre partite in otto giorni sono un carico molto pesante a fine stagione: alla fine vale più la freschezza che i valori reali. Cassano è arrivato all'Europeo da miracolato, c'era bisogno di fargli fare tutti i minuti che ha giocato?

Inoltre, tornando a Prandelli, che razza di visione tattica dimostra uno che mette Thiago Motta mentre sta perdendo 0-2 contro una squadra che in tre tornei vinti non ha mai subito un solo gol negli scontri a eliminazione diretta? Come poteva pensare di sovvertire una statistica tanto tremenda inserendo un giocatore che al limite, quando sta bene, interdisce, contiene, ma di certo non regala il genio che sarebbe servito per compiere un miracolo?

Anche il suo modo di preparare dialetticamente il match m'è sembrato da perdente di successo. Non una stilla d'adrenalina. Piuttosto, un mettere le mani avanti («Siamo stanchi», «Calendario sfavorevole», «Però ce la giochiamo») da chi proprio non è abituaro a caricare l'ambiente in un'occasione così importante. Un anti-Mourinho per intenderci. Ma neppure un Guardiola, che seppur con toni diversi sa invece toccare i tasti giusti per caricare i giocatori, senza crear loro alibi a priori.

Ora si toglierà i celebri sassolini. E, quando non andrà in pellegrinaggio, rimarrà sulla sua panchina puntando a Brasile 2014. Brasile che, dopo la finale con la Spagna, a me pare molto più lontano dell'oceano che ci sta in mezzo.

venerdì 29 giugno 2012

Che difesa anche grazie a Conte!

Mi sa che è sbocciato sul serio, a questo punto. Due gol così in una semifinale dell'Europeo disintegrano il gap che distanzia il campione dal fenomeno. Mario Balotelli ha tutto per diventare un numero uno assoluto: fisico, classe, potenza, strafottenza. Se davvero ora ci ha messo anche quel pizzico di sale in zucca (in campo, perché fuori poi non si cambia dall'oggi al domani, ma in fondo sono affari suoi), l'Italia ha trovato un numero uno di quelli veri.

In attesa di verifica, mi coccolo la difesa migliore d'Europa che, a rileggerla, non può non ricordarmi la paggiore della storia juventina. Bonucci, Chiellini e Barzagli: i tre considerati una tragedia con Delneri, oggi fanno scintillare gli occhi ai calciofili di tutto il continente.

Quanto ci sia di Conte in questa fioritura azzurra è di tutta evidenza. Dodici mesi fa lo stesso popolo juventino avrebbe gradito un piazza pulita. Ricordo gli sconci fischi dello Juventus Stadium a Bonucci non più indietro di qualche mese fa. Leo deve essere molto orgoglioso per come li ha assorbiti, metabolizzati e rispediti al mittente, ora che tutta Europa l'applaude convinta.

Di Pirlo s'è già ampiamente detto, inutile dilungarsi ancora. Ora c'è la sfida con Iniesta: a mio modo di vedere, dopo l'ennesimo flop di CR7 nei momenti che contano, la vera finale per il Pallone d'Oro.

mercoledì 27 giugno 2012

Euro 2012: Juventus renaissance transforms Cesare Prandelli's Italy (The Guardian)

As Italy outplayed England in Kiev, the man who has contributed so much to this beguiling Azzurri side was somewhere else, with the cloud of match-fixing hanging over him. Antonio Conte took over as Juventus manager last summer and in less than a year he transformed the fortunes and careers of, among others, Leonardo Bonucci, Andrea Barzagli, Claudio Marchisio and Andrea Pirlo, now key players in Cesare Prandelli's Italy team.

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lunedì 25 giugno 2012

Campagna Pirlo Pallone d'Oro


Ha vinto il campionato, è andato in finale della coppa nazionale, è in semifinale all'Europeo. Il tutto da protagonista, tenendo in mano il gioco delle squadre in cui gioca. A uno così non si può negare il sogno di vincere il Pallone d'Oro. Che poi non è una chimera. Posto che Leo Messi non vincerà per la quarta volta a fila, l'unico che può dargli filo da torcere è Cristiano Ronaldo che, per ora, ha lo stesso palmarès. I 55 gol di CR7 valgono i 200 passaggi a partita del Nostro. Quindi, Andrea giocatela.

Che solo il cucchiaio di ieri basta a sigillare la candidatura. In un quarto di finale europeo con l'Inghilterra, sotto di un rigore in una partita dominata e per questo destinata alla beffa, per pensare allo scavetto bisogna essere pazzi come cavalli o geni puri. Pirlo è l'esatto contrario di un folle.

Perciò, permettetemi di lanciare ufficialmente la campagna Pirlo Pallone d'Oro. Che poi, altro non è, che una presa d'atto. Andrea lo merita, per questa stagione e per una carriera che capiremo davvero quanto grande soltanto quando avrà smesso.

martedì 19 giugno 2012

Prandelli non allena più in Provincia


Un'Italia brutta che vince è meglio di una bella che pareggia. E qui si scava il solco generazionale tra chi si ricorda il Catalano di "Quelli della notte" e chi non era ancora nato. Per esempio, Mario Balotelli, uno che se non sapesse di essere un campione sarebbe un fuoriclasse.

Se la Croazia avesse segnato all'ultimo secondo il gol del pareggio ci avrebbe eliminato, ma oggi nessuno s'appellerebbe al biscotto, perché un'Italia così avrebbe meritato l'eliminazione. Per fortuna, abbiamo incontrato una delle squadre più deboli del torneo (forse la più scarsa in assoluto) e due gol siamo riusciti a segnarli quasi senza volerlo.

Ora il gioco si fa duro e va fatto un salto di qualità anche mentale. Prandelli deve scrollarsi di dosso il suo allenare di provincia e capire che non si cambia soltanto tra una partita e l'altra: i grandi cambiano durante. Non sto parlando di uomini, che tirar fuori Di Natale e mettere Balotelli lo sa fare pure mio figlio. Parlo di schemi, di duttilità di formazione. Che se parti con la difesa a quattro e gli esterni non spingono, allora devi intervenire in corsa ricostruendo quella a tre, spostando più su Balzaretti e Abate, sulla linea del centrocampo. Magari togliendo De Rossi dal raggio d'azione di Pirlo, che sennò si pestano i piedi e rendono entrambi la metà.

Che se Di Natale nell'Udinese ama partire da sinistra devi permetterglielo senza costringerlo a un ruolo da prima punta di sfondamento, che non sa neanche come si fa. Facciamola breve: se prima di tutti il c.t. non si dimostra all'altezza, lontano non si va. Perché in questi casi puoi essere salvato dai fuoriclasse, ma l'Italia non ne ha. A parte uno che troppo presto ha capito di essere campione. Speriamo che questo gol lo convinga anche di essere un fuoriclasse.

Ah, per inciso, i fuoriclasse quando segnano, esultano.

lunedì 11 giugno 2012

Prandelli copia Conte, per favore


Vedere una partita twittando può essere molto divertente, ma distrae assai. Perciò mi sono volutamente disconnesso per l'intera Italia-Spagna, per poi ricollegarmi per i commenti finali. Uno dei più divertenti diceva: «Se rientrano Vidal e Vucinic ce la giochiamo con tutti».

In realtà, dovrebbe rientrare anche Conte. O basterebbe che Prandelli la smettesse di fare il Prandelli e cogliesse il bello di aver avuto per tutta la stagione qualcuno che ha lavorato per lui. Per farla breve, che prendesse la Juve e la vestisse d'azzurro.

Mettere De Rossi al centro della difesa è un insulto al dio del calcio. Buon per il lodevole vice-Gladiatore che Del Bosque, peccando all'esatto opposto di Prandelli, abbia a tutti i costi voluto fare il Guardiola e s'è privato per un'ora di un attaccante. Ma forse ora qualcuno gli ha già spiegato che il Barcellona ha Messi e non ha Llorente in panca. Saran affari dei prossimi, noi intanto l'abbiamo sfangata.

Però il centrocampo va riallineato a quello della Juve. Fuori Thiago Motta che trotterella e toglie inutilmente spazio e De Rossi nel centrocampo a tre, a fare davvero il Vidal, con Marchisio e l'immenso Pirlo che, tornando qualche metro più indietro, può impostare fin dall'inizio dell'azione.

Là davanti Di Natale merita conferma. Al posto di Balotelli? Mah. Io lo farei partire da sinistra, perché da punta centrale s'allarga troppo. Ci sarà tempo per criticare le convocazioni di Prandelli per quell'attacco di nanetti. Per ora, però, sarei curioso di vedere proprio la coppia Totò-SuperMario.

mercoledì 30 maggio 2012

Occhio al meteorite


Questo ennesimo scandalo del calcio mi fa orrore. E' permeato di personaggi squallidi, di bassezza morale e culturale, di mancanza di senso della realtà e della logica (ma vi pare possibile che un Premier messo lì per rilanciare l'economia se ne esce azzoppando una delle poche industrie italiane che ancora fanno girare soldi veri, come quelli televisivi?). Manca soprattutto il senso della giustizia. Ancora una volta.

Mimmo Criscito salterà un Europeo e Leo Bonucci no, a causa di interpretazioni cervellotiche di un codice etico che capisce solo Prandelli. La presunzione d'innocenza cassata a prescindere: per il c.t. Criscito è colpevole in automatico. Un abominio.

Gigi Buffon se ne esce con una banalità imbarazzante e diventa informato dei fatti. Allora, venite a prendere pure me. E con me tutti i giornalisti sportivi d'Italia. I dirigenti sportivi. Tutto il calcio professionistico. Nazionale e internazionale. Perché il «meglio due feriti che un morto» è una pratica consolidata dalla notte dei tempi.

Lo sanno tutti che, a classifica acquisita, le squadre medio-piccole cercano crediti per le stagioni successive entrando in campo senza sputare sangue. Un esempio? Chiedete al Cagliari che è sceso in campo contro il Milan e non ha mai superato la metà campo. Perché la procura federale non ha fatto una piega quando due anni fa la Lazio ha platealmente lasciato vincere l'Inter, con tanto di tifosi biancocelesti che dopo il gol di Eto'o, esponevano il celebre striscione: “Oh nooo”?

E non è che all'estero siano immuni. L'Italia a Euro 2004 fu vittima di un colossale biscottone tra Danimarca e Svezia che per passare entrambe il turno avrebbero dovuto pareggiare 2-2 e proprio quel risultato confezionarono, con le due tifoserie che cantavano “Ciao Italia, ciao”. Qualche settimana fa Rayo Vallecano e Granada si son messe addirittura d'accordo durante un calcio d'angolo, alla notizia che il Villareal stava perdendo. Su quel corner il Rayo ha segnato il gol della salvezza e in Segunda ci è finita la squadra di Giuseppe Rossi. Potrei continuare per ore, magari approfondendo la differenza tra biscotto e scommesse.

Ora, non si fraintenda, sono episodi che sportivamente mi fanno ribrezzo, ma citandoli non mi sognerei mai di trovarmi un pm all'uscio. Sembra che del solito cinese che indica la luna si continui a preferire guardare il dito. Perciò prendiamocela pure con Buffon e speriamo che il cinese stia davvero indicando la luna e non un meteorite capace di spazzare via il Pianeta Calcio.

martedì 22 maggio 2012

Una sconfitta salutare (A-Team su LaStampa.it)


Imparare a vincere è molto difficile, ma imparare a perdere lo è anche di più. La sconfitta di Roma nella finale di Coppa Italia brucia, ma non è una tragedia. Anzi, il tempo potrà raccontarci se è stata persino utile.

La stagione che ci aspetta sarà molto diversa da quella appena conclusa. Per la prima volta questa squadra sarà investita del ruolo che compete ai campioni in carica: la favorita, la squadra da battere. È un peso che se mal gestito può schiacciare. Inoltre, non dimentichiamo che la Juve di Conte finora non si era mai dovuta raffrontare con la delusione della sconfitta. È un momento di crescita che, se ben incanalato, fortifica e rende più competitivi.

Per questo, forse, è arrivata nel momento più opportuno. Non intacca minimamente una stagione trionfale e, nel contempo, mostra ai giocatori un aspetto nuovo del loro lavoro. Dopo lo scudetto Conte disse: “Voglio che festeggino, perché devono capire quanto è bello farlo, perché ne abbiano sempre voglia”. Ora hanno anche un'altra possibilità: capire quanto è brutto perdere, senza possibilità di rivincita.

Che assaporino fino in fondo questo amaro calice. Che non lo rimuovano, ma lo interiorizzino, affinché non ne vogliano più sentire il sapore. Ora si va in Champions, dove non c'è quasi mai un domani (a parte il ridicolo girone iniziale, che comunque ci vedrà in terza fascia). Ogni partita è come quella dell'Olimpico e arrivarci con la testa vuota o, peggio, piena di false consapevolezze, se non di qualche arroganza, è il modo più diretto per farsi del male.

Quindi, onore al Napoli (molto meno ai suoi beceri curvaioli) e guardiamo avanti. Magari già alla Supercoppa Italiana, dove sono convinto sarà tutta un'altra musica.