domenica 28 ottobre 2012

Non è il danese la soluzione

Il gol del Catania era regolare, quello della Juve si poteva annullare per fuorigioco di Bendtner. Catania – Juve è tutta qui. Il resto è una squadra bianconera in evidente involuzione. Una crisetta, o una crisi tutta intera, è inevitabile in un campionato e la Juve la sta attraversando a punteggio pieno.

Il dato vero di questa nona giornata è questo: Gervasoni permettendo, la Juve non perde il passo neppure giocando al 50 per cento delle sue possibilità. In Italia il nostro livello è troppo superiore.

Qualche sprazzo di ottimismo l'abbiamo pur visto: Vidal è tornato a livelli accettabili, Pogba non ha fatto rimpiangere troppo Marchisio, la difesa c'è, Pirlo è Pirlo.

Tuttavia sono di più gli aspetti preoccupanti. Il ritmo della manovra è quello dei tempi peggiori, la partita non è stata chiusa neppure in superiorità numerica, l'attacco continua a essere una lagna. Vincere un campionato coi gol del centrocampo è dura, vincerne due è quasi impossibile, far bella figura in Champions è una chimera.

Nella trottola delle convocazioni oggi è toccato finalmente a Bendtner, che ha spiegato con parole semplici perché finora Conte e Alessio non facessero giocare: lento e quasi bolso, ruvido di piede e apparentemente spaesato. Non sarà lui a risolvere i problemo di reparto, purtroppo. E, se è questa la sua forma ottimale, lo vedremo ben poco da qui a gennaio, quando c'è da augurarsi l'arrivo di uno vero.

Finora ci siamo potuti accontentare di Vidal capocannoniere (tra campionato e coppa: 5), ma quando si farà sul serio servirà ben altro. Marotta e Paratici sono al lavoro.

domenica 21 ottobre 2012

E non era neanche vera Juve

Come qui si scriveva lo scorso 9 settembre: “se la qualità del campionato si cristallizzasse in quanto visto in questa seconda giornata sarebbe dura non ripetere l'exploit della scorsa stagione da imbattuti”. Non è elegante citarsi, ma è un espediente per dimostrare quanto sia poco sorprendente la situazione attuale, dove in otto partite se ne sono vinte sette, col maggior numero di gol fatti (19, quasi 2,5 a partita) e il minore di subiti (solo 4).

L'atteggiamento del Napoli è stato perfettamente allineato a quest'ordine di cose. Fosse sceso allo Stadium con la maglietta gialla avremmo pensato di rivedere la partita col Chievo: stesso atteggiamento tattico, stessa paura dell'avversario, stesso desiderio di tirare a campare verso un immeritato zero a zero.

Un piano che ha avuto senso per 80 minuti poi s'è squagliato come neve al sole, grazie ai colpi di due ragazzi appena alzati dalla panchina. (Avviso per Marotta: Pogba è un predestinato, ma è anche della scuderia di Raiola. Blindatelo!)

E dire che questa Juve non ha niente di luccicante e strabiliante. Anzi, in molti elementi (Vidal, Lichtsteiner e gli attaccanti, qualsiasi essi siano) si vede parecchia ruggine. Eppure basta e avanza per avere la meglio su un campionato obiettivamente troppo piccolo per lei. L'anno scorso doveva dare il 101 per cento tutte le partite. Quest'anno non arriva al 70 e vince sempre. È un segnale di grande forza morale, oltre che di una rosa che fa alzare dalla panchina i match winner dello scontro diretto.

L'unica vera incognita è capire come reggerà l'urto psicologico della Champions quando i giochi si faranno seri. Ma se non ci saranno imprevisti testacoda (e sinceramente, vista l'attuale maturità, non credo), questa è una squadra che può ammazzare il campionato in gran scioltezza. Dipende solo da lei è una frase fatta, ma non è mai stata tanto attuale.

martedì 9 ottobre 2012

Il pelo nell'uovo della Juve a Siena

-->
Genoa, Fiorentina, Shakthar e Siena. Se ci si soffermasse soltanto su queste quattro partite si scoprirebbe una Juve molto meno schiacciasassi di quanto le 45 46 partite da Invincibili raccontano. Vero è che l'anno scorso una partita come quella di Siena non si sarebbe mai vinta e altrettanto vero è che è dura criticare una squadra che ha raccolto 19 punti su 21 (con un formidabile più 6 rispetto al campionato precedente). Tuttavia non eravamo abituati ad assistere alle scorribande viste nell'area bianconera contro Ucraini e Calaiò e Rosina vari.

Qualcosa non torna. E non mi sembra che il calendario a tappe forzate di tre giorni possa essere la risposta. Il turnover è stato gestito correttamente, ma gli scricchiolii sono proprio di manovra. Pur più maturi e riflessivi (lo scorso anno andavano spesso in apnea agonistica per la voglia di strafare), i bianconeri si espongono troppo al contropiede. Da una parte, gli avversari in Italia e in Europa hanno capito che la prima cosa da fare è soffocare il gioco di Pirlo. L'unico che non l'ha fatto quest'anno è stato Zeman e ne è uscito con tutte le ossa rotte. Dall'altra la difesa tende ad alzarsi troppo, lasciando costantemente cinquanta metri di campo libero.

Carrera (e Conte) sono correttamente intervenuti in corsa, cambiando l'ormai consueto 3-5-2 in un 4-3-3 che può rappresentare un'interessante variante. Ora forse è il caso anche di valutare uno spostamento di Pirlo più a ridosso delle punte, lasciando a Marrone o Pogba l'avvio iniziale della manovra. Questo per disorientare le marcature e aprire spazio tra le linee.

Certo però che il dato più impressionante è la consueta discontinuità dell'attacco. Proprio non si riesce a trovare la quadra di un reparto che sembra un motore che va a tre pistoni. Giovinco, che pure non s'è mosso male a Siena, pare ormai il re dei gol a risultato acquisito. Mentre serve chi sia capace di spaccare le partite rognose, quelle incanalate sul pareggio. Perché non si può sempre sperare che ci pensi il centrocampo (nel quale, tra l'altro Vidal dà evidenti segni di logorio). Il danese Bendtner intanto fa lo spettatore non pagante. I casi sono due: o è arrivato in una forma fisica deprimemente o a Vinovo ci si è accorrti subito di aver sbagliato investimento. O, più banalmente, la risposta sta nel giusto mezzo.

lunedì 1 ottobre 2012

Tutto il sudore di Zeman

Fino alla calata della sgangherata banda Zeman la squadra più brutta mai apparsa allo Stadium era la Roma di Luis Enrique. Quella che se ne tornò a Roma con quattro gol sul groppone e la consapevolezza che il tanto strombazzato progetto romano del profeta Baldini era al capolinea.

Era difficile quel 22 aprile prevedere che in soli cinque mesi avremmo assistito a uno spettacolo ancora più imbarazzante. I giallorossi si sono superati in modo sbalorditivo, presentandosi in casa della prima della classe vestiti di stracci. Roba da vergognarsi: quando la Juve sfida la rappresentativa della Val d'Aosta a fine luglio, trova gente che sa cosa fare molto meglio di Totti, De Rossi e compagnia piangente.

Fatti un nome e se ti fai la pipì a letto tutti diranno che hai sudato, dice un proverbio illuminante. Se Luis Enrique avesse fatto una figura così a Torino a settembre invece che ad aprile, a Caselle avrebbero dirottato il volo per Roma e si sarebbe ritrovato direttamente a Barcellona. Invece, Zdenek Zeman, il guru della panchina, ha solo sudato copiosamente. Probabilmente il microclima dello Stadium deve avere connotazioni amazzoniche.

Difficile, pertanto, giudicare la partita della Juve. Così, superficialmente, sembra un'interpretazione spaziale, ma è molto probabile che se mettete sul ring il miglior Cassius Clay col sottoscritto anche lui farebbe una gran figura. Peraltro la velocità con cui mi metterebbe k.o. sarebbe superiore a quella che ci ha messo la Juve per dimostrare che se un tecnico fa crescere bene i giovani ma è incapace di far giocare quelli già formati è meglio se allena una Primavera.

Su una palla al centro a favore della Roma, ho visto sette (sette!) giallorossi in fila sulla linea di centrocampo e tre sulla linea del cerchio. Da lì a Stekelemburg 40 metri di vuoto. Incommentabile. Come lo è l'azione del quarto gol della Juve. Sombrero di Barzagli a Taddei: trenta metri di deserto. Palla a Giovinco, da solo, altri 20 metri di deserto. Quando al campetto del martedì dove gioco con gli amici, notiamo un divario simile rifacciamo la conta e riequilibriamo le squadre. Sennò non ci si diverte.

Alla vigilia Zeman aveva chiesto di evitare 90 minuti d'insulti. Lo Stadium l'ha accolto giusto con un paio di cori standard. A insultarsi ci aveva già pensato da sé. Inutile infierire, noi al ventesimo della partita con la Roma eravamo già alla vigilia dello Shakthar.